Che la materia ordinaria – quella per capirci di cui siamo fatti noi stessi o i corpi celesti come stelle, pianeti e galassie – non fosse in quantità sufficiente a giustificare come è strutturato e come evolve l’universo è ormai un fatto piuttosto consolidato tra gli astronomi, che hanno dovuto proporre l’esistenza di un’altra forma di materia, decisamente elusiva e ancora sconosciuta: la materia oscura. E il suo è un contributo non da poco, con una massa totale di circa sei volte maggiore di tutta quella ordinaria.
Negli ultimi anni, però, nuove e più accurate indagini su galassie vicine hanno evidenziato che anche la quantità di materia ordinaria in esse contenuta è fino a tre volte minore di quanto atteso. La cosa sorprendente è che la nostra, la Via Lattea, non fa eccezione, anzi sembrerebbe essere “sottopeso” di almeno metà della sua massa stimata.
«Gli scienziati si sono impegnati duramente per cercare tutta questa materia mancante», dice Jiangtao Li dell’Università del Michigan, negli Usa, che ha guidato un nuovo studio sull’argomento. «Perché questa materia non è presente nelle galassie? Oppure è lì, ma non la vediamo? E se non è lì, dov’è? È fondamentale risolvere questo enigma, poiché rappresenta uno dei punti più incerti e dibattuti dei nostri modelli che descrivono sia l’universo primordiale che il modo in cui si formano le galassie», prosegue il ricercatore.
Magari, invece di trovarsi nelle zone più interne delle galassie, questa materia mancante potrebbe trovarsi diluita in estesi e tenui aloni di gas caldo attorno ad esse, come effettivamente è stato osservato, seppure con notevole difficoltà, nei raggi X. Queste misure, prossime al limite della sensibilità degli strumenti oggi operativi, sono affette da notevoli incertezze che come conseguenza portano a risultati tutt’altro che affidabili.
Jiangtao e il suo team hanno provato a tracciare la mappa quanto più accurata possibile della distribuzione del gas caldo attorno a lontane galassie sfruttando le osservazioni del telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa e una tecnica inusuale: raccogliere dati di sei diverse galassie a spirale tra loro simili e combinarli tutti insieme, così da ricostruire il profilo di distribuzione del gas di una galassia a spirale “tipo”.
«In questo modo, il segnale della galassia diventa più forte e l’emissione di fondo nei raggi X è meglio definita», spiega Joel Bregman, sempre dell’Università del Michigan e coautore dello studio. «Siamo così riusciti ad osservare l’emissione di raggi X da gas circumgalattico fino a una distanza circa tre volte maggiore di quanto avremmo potuto fare puntando una singola galassia, e così i nostri risultati sono più accurati e affidabili».
Risultati che però, ancora una volta, lasciano aperti diversi scenari, in quanto di sicuro evidenziano il fatto che gli aloni di gas caldo attorno alle galassie – anche spingendosi a distanze pari a quasi 30 volte il raggio della via Lattea – non possono contenere tutta la massa mancante. Magari la materia “non pervenuta” potrebbe trovarsi in condizioni fisiche ancor più difficili per l’osservazione, come possedere una maggior temperatura ma più bassa densità o temperature decisamente più basse e densità più elevata. O, ancora, che si trovi semplicemente annidata in altre regioni dello spazio non coperte dalle osservazioni, lontana dalle galassie dove potrebbe esserci arrivata sotto la spinta di esplosioni stellari o dell’azione di buchi neri supermassicci.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Baryon budget of the hot circumgalactic medium of massive spiral galaxies” di J-T Li et al.