C’È UNA NEBULOSA PLANETARIA NEL SUO DESTINO

Quando il Sole muore

Un gruppo internazionale di astronomi ha sviluppato un nuovo modello di evoluzione stellare che rende molto più facile per una stella di massa ridotta, come il Sole, dare origine a una nebulosa planetaria brillante. Inseguiti da 25 anni, i risultati sono stati pubblicati su Nature Astronomy.

     07/05/2018

Abell 39, il trentanovesimo oggetto del catalogo di grandi nebulose scoperte da George Abell nel 1966, è una bellissimo esempio di nebulosa planetaria. È stata scelta per lo studio da George Jacoby (WIYN Observatory), Gary Ferland (University of Kentucky) e Kirk Korista (Western Michigan University) per la sua rara e meravigliosa simmetria sferica. Questa foto è stata scattata al telescopio da 3.5 metri presso il WIYN Observatory, al Kitt Peak National Observatory (Tucson, AZ) nel 1997 usando un filtro blu-verde che seleziona la luce emessa dagli atomi di ossigeno nella nebulosa, alla lunghezza d’onda di 500.7 nanometri. La nebulosa ha un diametro di circa cinque anni luce, e lo spessore del guscio sferico è circa un terzo di un anno luce. La nebulosa stessa è approssimativamente a 7.000 anni luce dalla Terra, nella costellazione di Ercole. Crediti: T.A.Rector (NRAO/AUI/NSF and NOAO/AURA/NSF) and B.A.Wolpa (NOAO/AURA/NSF)

Un gruppo internazionale di astronomi, tra cui Albert Zijlstra dell’Università di Manchester, ha previsto che la nostra stella si trasformerà in una nebulosa planetaria, un involucro luminoso di gas e polveri. Una nebulosa planetaria segna la fine del 90 per cento delle stelle e rappresenta la fase di transizione della stella stessa da gigante rossa a nana bianca degenere. Tuttavia, per anni gli scienziati non erano affatto sicuri che il nostro Sole avrebbe seguito questo destino, poiché si pensava che la sua massa fosse troppo ridotta per dare origine a una nebulosa planetaria visibile. Per scoprirlo, il gruppo di ricerca ha sviluppato un nuovo modello stellare in grado di prevedere il ciclo di vita delle stelle. Tale modello è stato utilizzato per stimare la brillanza (o luminosità) dell’inviluppo stellare espulso, per stelle di diverse masse e diverse età.

«Quando una stella muore, espelle nello spazio una massa di gas e polvere, chiamata involucro, che può arrivare ad avere la metà della massa della stella stessa. Questo involucro permette di rivelare il nucleo della stella, che in questo momento della sua vita sta finendo il combustibile e presto si spegnerà, per poi morire definitivamente», spiega Zijslra. «Solo allora, il nucleo caldo della stella farà brillare l’involucro espulso, per circa diecimila anni: sembrano tantissimi ma in realtà è un breve periodo, in astronomia. È per questo che la nebulosa planetaria diventa visibile. Alcune sono così luminose che possono essere viste da distanze estremamente grandi, decine di milioni di anni luce, alle quali la stella stessa sarebbe stata troppo debole per essere vista».

Il modello presentato risolve anche un’altra questione che ha lasciato perplessi gli astronomi per un quarto di secolo. Circa 25 anni fa gli astronomi hanno scoperto che se si osservano le nebulose planetarie in un’altra galassia, quelle più brillanti hanno sempre la stessa luminosità. Si trovò che era possibile valutare la distanza di una galassia dalle sue nebulose planetarie più luminose. In teoria, questa possibilità dovrebbe essere valida per ogni galassia, di qualunque tipologia: dalle galassie a spirale, con stelle di grande massa, alle vecchie galassie ellittiche, con solo stelle di piccola massa. Ma mentre i dati osservativi suggerivano che questa conclusione era corretta, i modelli scientifici rivendicavano il contrario.

«Le stelle vecchie e di bassa massa dovrebbero produrre nebulose planetarie molto più deboli di quelle giovani e più massicce. Questo fatto è diventato una fonte di conflitto negli ultimi venticinque anni», aggiunge Zijlstra. «I dati dicevano che si potevano ottenere nebulose planetarie luminose da stelle di massa bassa, come il Sole, mentre per i modelli non era possibile: ogni stella con una massa pari a circa il doppio della massa del Sole, darebbe origine a una nebulosa planetaria troppo debole per essere vista».

I nuovi modelli mostrano che, dopo l’espulsione dell’involucro, le stelle si riscaldano tre volte più velocemente di quanto trovato nei modelli più vecchi. Ciò rende molto più facile per una stella di massa bassa, come il Sole, dare origine a una nebulosa planetaria brillante. Il gruppo di ricerca ha scoperto che, nei nuovi modelli, la massa del Sole è molto vicina alla massa limite, oltre la quale la stella è in grado di originare una nebulosa planetaria visibile, sebbene debole. Le stelle le cui masse sono di pochi punti percentuali più basse, non sono in grado di farlo.

«Abbiamo scoperto che le stelle con una massa inferiore a 1.1 volte la massa del Sole producono nebulose più deboli e le stelle più massicce di 3 masse solari originano nebulose più luminose, ma per il resto la brillanza prevista è molto vicina a quella osservata. Problema risolto, dopo venticinque anni! Questo è un bel risultato. Non solo ora abbiamo un modo per misurare la presenza di stelle la cui età è di qualche miliardo anni, in galassie lontane, che è un intervallo incredibilmente difficile da misurare, ma abbiamo anche scoperto cosa succederà al Sole quando muore!», conclude Zijlstra.

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