Mentre un tandem di scultori del ghiaccio finlandesi-mongoli raccoglie denaro sufficiente a finanziare l’assurdo progetto che vuole su un iceberg l’effigie di Donald Trump, sullo stile dei ritratti presidenziali del Monte Rushmore, il biondo e vaporoso inquilino della Casa Bianca non sembra manifestare alcun tipo di interesse nei confronti di proteste e oppositori. Tanto più in tema di cambiamenti climatici. Che si tratti del direttore dell’Earth Institute alla Columbia University Jeffrey Sachs o della rispettosa American Association for the Advancement of Science, poco importa. La strategia è fare orecchie da mercante e picchiare duro sugli ambientalisti più ingenui: climate change? Non ci sono prove concludenti sull’esistenza di un problema di riscaldamento globale d’origine antropica.
Responsabilità o meno dell’uomo a parte, però, a sentire i ricercatori dell’Università di Rutgers, New Jersey, un problema c’è. E da almeno 215 milioni di anni. Sarebbe l’influenza gravitazionale di Giove e Venere ad allungare leggermente l’orbita terrestre ogni 405mila anni, in un balletto collaudato ed eseguito rigorosamente dal pianeta Terra da almeno – appunto – 215 milioni di anni e che ci permetterebbe di datare con grande precisione anche i grandi eventi del passato, fino ai dinosauri.
Secondo Dennis Kent, primo autore dello studio appena pubblicato fra gli atti della National Academy of Sciences, ora gli scienziati possono collegare in modo estremamente preciso cambiamenti climatici e cambiamenti ambientali, la comparsa dei mammiferi e i fossili ritrovati in mezzo mondo, basandosi esclusivamente su questo ciclo di 405mila anni.
«I cicli climatici sono direttamente correlati all’orbita descritta dalla Terra attorno al Sole e le variazioni nell’esposizione alla luce solare portano a cambiamenti climatici ed ecologici», spiega Kent, che alla Rutgers si occupa prevalentemente dello studio del campo magnetico terrestre. «L’orbita terrestre descrive quasi perfettamente un cerchio, ma sotto l’influenza dei pianeti vicini può deformarsi anche del 5 per cento, specialmente ogni 405mila anni».
Con il suo team, Kent ha studiato nel tempo i fenomeni di inversione del campo magnetico terrestre basandosi sui sedimenti raccolti nel bacino di Newark (un lago preistorico che attraversava il New Jersey) e altri frammenti di detriti vulcanici che comprendono zirconi provenienti dalla formazione Chinle del Parco nazionale della Petrified Forest in Arizona.
Un campione di roccia del tardo Triassico, che si estende fra circa 201 e 237 milioni di anni fa, mostra chiare evidenze che il ciclo di 405mila anni sia un modello astronomico preciso e strettamente collegato alla rotazione annuale della Terra intorno al Sole.
Per saperne di più:
- Leggi su Proceedings of the National Academy of Sciences l’articolo “Empirical evidence for stability of the 405-kiloyear Jupiter-Venus eccentricity cycle over hundreds of millions of years“, di Dennis V. Kent et al.