Quando il vento solare, la pioggia sferzante di particelle cariche che provengono dal Sole, colpisce il campo magnetico terrestre, l’urto genera turbolenti campi magnetici che avvolgono il pianeta e si estendono per centinaia di migliaia di chilometri. Ma dove finisce tutta l’energia che si sprigiona? Una delle missioni spaziali della Nasa, chiamata Magnetospheric Multiscale (Mms), ha scoperto un modo sorprendente con il quale questa energia turbolenta viene dissipata: sembrerebbe infatti che quando i campi magnetici si spezzano e si riconnettono, l’energia magnetica viene convertita in getti di elettroni ad alta velocità.
La scoperta aiuterà gli scienziati a comprendere il ruolo svolto dalla riconnessione magnetica nello spazio, ad esempio, nel riscaldare la corona solare (la parte più esterna dell’atmosfera del Sole) inspiegabilmente calda, e nell’accelerare il vento solare supersonico. Allo scopo di indagare ulteriormente questi fenomeni, quest’estate verrà lanciata la missione della Nasa Parker Solar Probe, direttamente verso il Sole, armata della consapevolezza di aver compreso questi nuovi aspetti legati alla riconnessione magnetica in prossimità della Terra. E dal momento che la riconnessione magnetica avviene in tutto l’universo, ciò che gli scienziati hanno appreso su questo fenomeno che si verifica intorno al nostro pianeta, sicuramente più facile da esaminare da così vicino, potrà essere applicato ad altri processi che avvengono più lontano. Ma quello che è stato scoperto è un fenomeno fisico nuovo.
«Mms ha scoperto la riconnessione magnetica elettronica, un nuovo processo molto diverso dalla riconnessione magnetica standard, che si verifica nelle zone più calme attorno alla Terra», ha affermato Tai Phan, ricercatore dello Space Sciences Laboratory all’Università della California (Berkeley) e primo autore dell’articolo che descrive i risultati appena pubblicati sulla rivista Nature. «Questa scoperta aiuterà gli scienziati a capire in che modo i campi magnetici turbolenti dissipano energia in tutto il cosmo».
«La turbolenza si verifica ovunque nello spazio: sul Sole, nel vento solare, nel mezzo interstellare, nelle dinamo, nei dischi di accrescimento che circondano le stelle, nei nuclei attivi galattici, nei resti di supernova e tanto altro ancora», ha dichiarato Michael Shay dell’Università del Delaware, coautore del lavoro.
La riconnessione magnetica standard si osserva nella magnetosfera terrestre, relativamente tranquilla, che rappresenta un campo di forza magnetico che protegge il pianeta dall’intenso vento solare. All’interno di questa regione, i campi magnetici si possono attraversare, rompere e ricollegare: le linee di forza del campo magnetico ricongiunte, spezzandosi come elastici, scagliano atomi ionizzati ad alta velocità in tutta la magnetosfera. I getti di ioni, atomi di idrogeno ionizzato che si allontanano in direzioni opposte, riscaldano i gas che circondano la Terra e alterano il meteo del nostro pianeta. Alcune delle particelle cariche vengono incanalate ai poli nord e sud, dove si scontrano con gli atomi presenti nell’atmosfera e creano bellissime aurore.
Il nuovo processo ha luogo più lontano, rispetto alla superficie terrestre, in una zona turbolenta dove il vento solare colpisce la magnetoguaina e, rallentando drasticamente, genera un’onda d’urto. La magnetoguaina è una regione di transizione posta tra la magnetopausa (il bordo esterno della magnetosfera) e l’onda d’urto del vento solare sul campo magnetico planetario, ed è molto turbolenta. «La turbolenza nella magnetoguaina contiene molta energia magnetica», ha detto Phan. «Come questa energia venga dissipata è stato oggetto di discussione degli scienziati e la riconnessione magnetica è uno dei possibili processi coinvolti».
Phan e i suoi colleghi hanno utilizzato i dati di Mms per dimostrare che il nuovo processo di riconnessione magnetica avviene su piccole scale all’interno della zona di turbolenza e crea getti di elettroni, al posto di ioni. Gli elettroni si muovono circa quaranta volte più velocemente degli ioni accelerati mediante la riconnessione standard. «Ora abbiamo la prova che all’interno della magnetoguaina, il fenomeno della riconnessione riesce a dissipare l’energia, ma quello osservato è un nuovo tipo di riconnessione», ha detto Shay. La riconnessione magnetica è stata osservata innumerevoli volte nella magnetosfera ma sempre in condizioni di calma. Il nuovo evento, osservato e riportato nell’articolo, si è verificato nella magnetoguaina, appena fuori il limite esterno della magnetosfera. Gli scienziati non erano sicuri che la riconnessione avrebbe potuto verificarsi lì, perché il plasma in quella zona è molto caotico. MMS ha scoperto che la riconnessione si è di fatto verificata, su scale molto più piccole di quelle che la sonda precedente ha sondato e che la teoria avrebbe previsto. Poiché coinvolge solo elettroni, il fenomeno è rimasto nascosto agli scienziati che hanno sempre cercato la firma rivelatrice della riconnessione magnetica standard: i getti ionici.
«Pensiamo che questo fenomeno coinvolga gli elettroni perché sono veloci e leggeri mentre i protoni, lenti e pesanti, non riescono a partecipare», ha detto Jonathan Eastwood, dell’Imperial College di Londra e coautore dell’articolo. «Nel complesso, questo risultato apre nuove aree di ricerca nell’ambito della riconnessione turbolenta».
Mms, lanciato nel marzo del 2015, è costituito da quattro sonde identiche che orbitano attorno alla Terra in formazione di tetraedro, occupando i vertici di una piramide ideale a base triangolare, con l’obiettivo di studiare la riconnessione magnetica attorno al nostro pianeta nelle tre dimensioni spaziali. Poiché le sonde si trovano incredibilmente vicine le une alle altre, mediamente a circa otto chilometri di distanza, sono in grado di osservare fenomeni che nessuno ha mai visto prima. Inoltre, gli strumenti di Mms sono stati progettati per acquisire dati a velocità 100 volte superiore rispetto alle missioni precedenti. Tuttavia, anche se gli strumenti a bordo di Mms sono incredibilmente veloci, in realtà sono ancora troppo lenti per catturare istantanee della riconnessione turbolenta in azione, che richiede l’osservazione di stretti strati di particelle velocissime lanciate dalle linee di forza del campo magnetico. Rispetto alla riconnessione standard, nella quale grandi getti di ioni fuoriescono dal sito in cui avviene la riconnessione, la riconnessione turbolenta espelle getti di elettroni larghi meno di quattro chilometri. Ma gli scienziati coinvolti nella missione della Nasa sono stati in grado di sfruttare il design di uno strumento, il Fast Plasma Investigation, per sviluppare una tecnica che ha permesso loro di raccogliere dati aggiuntivi per risolvere spazialmente i getti.
«L’evento chiave riportato nell’articolo avviene in 45 millisecondi. Sarebbe solo punto nel flusso regolare di dati», ha detto Amy Rager, una studentessa universitaria presso la Catholic University of America in Washington, D.C., che ha lavorato presso il Goddard Space Flight Center della Nasa per sviluppare la tecnica. «Invece, con questo metodo, possiamo ottenere da sei a sette punti in quella regione, riuscendo in tal modo capire cosa sta succedendo».
Con il nuovo metodo, gli scienziati sperano di poter passare al setaccio il set di dati esistente per trovare un numero maggiore di questi eventi e riuscire così a fare altre potenziali interessanti scoperte.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Electron magnetic reconnection without ion coupling in Earth’s turbulent magnetosheath” di D. Phan, J. P. Eastwood, M. A. Shay, J. F. Drake, B. U. Ö. Sonnerup, M. Fujimoto, P. A. Cassak, M. Øieroset, J. L. Burch, R. B. Torbert, A. C. Rager, J. C. Dorelli, D. J. Gershman, C. Pollock, P. S. Pyakurel, C. C. Haggerty, Y. Khotyaintsev, B. Lavraud, Y. Saito, M. Oka, R. E. Ergun, A. Retino, O. Le Contel, M. R. Argall, B. L. Giles, T. E. Moore, F. D. Wilder, R. J. Strangeway, C. T. Russell, P. A. Lindqvist & W. Magnes
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