Certo che l’energia oscura è proprio una buffa bestia. Da una parte, benché non si riesca ancora a incastrarla per capire esattamente che roba sia, ci viene garantito che è l’ingrediente principale dell’universo, contribuendo per circa il 70 per cento al suo budget complessivo. Dall’altra, se ne osserva assai meno di quanto vorrebbero i modelli. Ma tanta tanta di meno: secondo la teoria quantistica dei campi, la densità dell’energia del vuoto dovrebbe essere 10120 volte maggiore di quanto gli effetti che attribuiamo all’energia oscura – dunque, l’accelerazione dell’espansione dell’universo – ci mostrino. E 10120, per chi non avesse dimestichezza con le notazioni esponenziali, è un ‘uno’ seguito da 120 ‘zeri’…
Per fortuna ce n’è, invece, l’esatta quantità che sappiamo: se la costante cosmologica lambda – identificata un po’ impropriamente con l’energia oscura – fosse anche solo un po’ di più (o un po’ di meno) di quella che si osserva, una serie di condizioni ritenute necessarie allo sviluppo della vita verrebbero meno. Condizioni che derivano, principalmente, dal tasso di formazione stellare: un’espansione troppo veloce comporterebbe un’eccessiva diluizione della materia, dunque meno galassie e meno stelle che si formano dalla sua aggregazione, e a cascata meno pianeti, meno occasioni di sviluppo di forme di vita e, infine, meno “osservatori”.
Ora, la finestra di tolleranza di quel “poco di più o poco di meno” è ritenuta talmente piccola da aver indotto a ipotizzare che il nostro sia solo un universo fra tanti. Se siamo qui a osservare l’universo e a parlarne, non è perché siamo fortunati al di là di ogni possibile ragionevolezza o perché è fatto tutto a misura nostra, bensì semplicemente perché, fra gli innumerevoli universi esistenti, è inevitabile che ci troviamo ospitati da uno – uno dei pochi? – che può ospitarci: non potrebbe essere altrimenti. Multiverso e principio antropico, insomma.
Ma i risultati di una nuova simulazione, condotta da cosmologi delle università di Durham, Sydney e Western Australia e pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, ridimensionano proprio questa supposta unicità. La finestra di tolleranza, dicono, è più ampia di quello che si è ritenuto finora. Anche una quantità di energia oscura centinaia di volte maggiore di quella registrata qui dalle nostre parti non sarebbe sufficiente a “sterilizzare” un universo. «Le nostre simulazioni», spiega il primo autore dello studio, Jaime Salcido, dottorando alla Durham University, «mostrano come la presenza di molta energia oscura in più (o molta in meno) nell’universo avrebbe un effetto minimo sulla formazione di stelle e pianeti, suggerendo così la possibilità che la vita possa esistere in tutto il multiverso».
Ciò significa che il nostro non sarebbe uno dei pochi universi adatti a ospitare stelle, pianeti ed esseri curiosi: sarebbe uno dei tanti. Buona notizia? Mica tanto. Anzitutto, come sottolineano gli stessi autori dello studio, non è affatto garantito che esistano altri universi. E se mai ci fossero, difficilmente rientrerebbero nella top ten delle mete più raggiungibili: ancora non siamo riusciti a mettere piede su un altro pianeta, figuriamoci in un altro universo. Piuttosto, è una notizia che solleva un bel problema: se confermata, significa che non c’è più alcun motivo per giustificare l’incredibile rarità del nostro universo. E, di conseguenza, anche la necessità di postulare il multiverso si farebbe assai meno impellente… Insomma, l’energia oscura potrebbe benissimo essere molto superiore a quella osservata, avvicinandosi a quanto predicono i modelli, senza pregiudicare la presenza di noi osservatori. E allora perché ne abbiamo così poca? C’è qualcosa che non va nell’attuale modello cosmologico?
«In un universo, la formazione stellare è l’esito di una guerra tra l’attrazione dovuta alla gravità da una parte e la repulsione dovuta all’energia oscura dall’altra», riassume uno dei coautori dello studio, Richard Bower, della Durham University. «Le nostre simulazioni ci dicono che universi con molta più energia oscura della nostra possono comunque dare origine alle stelle. Perché dunque ne abbiamo una quantità così misera, nel nostro universo? Penso che la ragione di questa strana proprietà vada cercata in una nuova legge della fisica, e che la teoria del multiverso possa fare ben poco per alleviare il disagio dei fisici».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “The impact of dark energy on galaxy formation. What does the future of our Universe hold?”, di Jaime Salcido, Richard G. Bower, Luke A. Barnes, Geraint F. Lewis, Pascal J. Elahi, Tom Theuns, Matthieu Schaller, Robert A. Crain e Joop Schaye