Andando verso i poli, sulla Terra, nel cielo notturno è possibile osservare uno spettacolo di spettrali luci colorate: le aurore. Queste si creano quando particelle energetiche si tuffano nell’atmosfera di un pianeta, bombardandone i gas e facendoli brillare. Sebbene siano in genere gli elettroni a causare questo fenomeno naturale, più raramente possono essere i protoni. Anche su Marte sono visibili aurore, ma un nuovo tipo di aurora appena individuato dalla sonda Maven della Nasa è molto difficile da osservare: avviene su gran parte del lato diurno del pianeta rosso.
Studiando l’atmosfera del pianeta negli ultravioletti, il team della sonda ha visto che la radiazione proveniente dall’idrogeno nell’alta atmosfera di Marte si illuminava misteriosamente per alcune ore, notando poi che i brillamenti combaciavano con i periodi in cui un altro strumento di Maven registrava un intensificarsi dei protoni del vento solare, cioè quei momenti in cui il Sole espelle con particolare forza atomi di idrogeno cui è stato strappato l’elettrone (riducendoli quindi sostanzialmente a protoni, appunto) dal calore intenso; questi protoni viaggiano a velocità superiori a 3 milioni di chilometri all’ora nel vento solare.
Come fanno i protoni a superare l’onda d’urto di prua del pianeta, ostacolo magnetico che normalmente devia le particelle cariche del vento solare attorno al pianeta? E come possono i protoni emettere luce, visto che per farlo gli atomi hanno bisogno degli elettroni?
«La risposta è il furto. Mentre si avvicinano a Marte, i protoni che arrivano con il vento solare si trasformano in atomi neutri rubando elettroni dal bordo esterno dell’enorme nube di idrogeno che circonda il pianeta. L’onda d’urto di prua può solo deviare le particelle cariche, quindi questi atomi neutri continuano dritti», spiega Justin Deighan, dell’Università del Colorado a Boulder, primo autore di uno studio pubblicato il 23 luglio su Nature Astronomy.
Quando quegli atomi ad alta velocità entrano nell’atmosfera possono scontrarsi con le molecole presenti centinaia di volte prima di rallentare, emettendo una moltitudine di fotoni ultravioletti come quelli visti dalla sonda spaziale. «Le aurore protoniche marziane sono più di uno spettacolo di luci. Rivelano che il vento solare non è completamente deviato intorno a Marte, mostrando come i suoi protoni possano infiltrarsi oltre l’onda d’urto di prua e colpire l’atmosfera, depositando energia e persino aumentando il contenuto di idrogeno lì presente», commenta Jasper Halekas dell’Università dello Iowa, tra gli autori dello studio.
Una delle principali differenze che contribuiscono a rendere rare le aurore di origine protonica sulla Terra, rispetto alla frequenza con cui accadono su Marte, è il forte campo magnetico del nostro pianeta e la sua assenza sul Pianeta rosso. Questo allontana il vento solare dalla Terra in misura molto maggiore rispetto a quanto accade per Marte. Sulla Terra, comunque, le aurore originate da protoni si verificano solo in regioni molto piccole vicino ai poli, mentre su Marte possono verificarsi ovunque.
Infine, l’assenza di un proprio campo magnetico e la presenza di abbondante idrogeno nella loro alta atmosfera – con un sacco di elettroni da condividere – rendono possibile che aurore di origine protonica siano comuni anche su Venere e Titano, la luna maggiore di Saturno. Guardando oltre, è probabile che molti pianeti in orbita attorno ad altre stelle abbiano le stesse condizioni favorevoli allo sviluppo di aurore protoniche.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Discovery of a proton aurora at Mars“, di J. Deighan, S. K. Jain et al.