La stella variabile Ck Vulpeculae (Ck Vul) è conosciuta come il luogo di un’esplosione stellare, la Nova Vul 1670, osservata dagli astronomi europei tra il 1670 e il 1672 nella costellazione Vulpecula (Volpetta). All’epoca, Nova Vul 1670 fu facilmente visibile a occhio nudo e variò in luminosità in modo significativo nel corso di due anni. Oggi, il rinnovato interesse per questo oggetto è dovuto alla scoperta di gas molecolare con una composizione isotopica molto particolare nei resti di quell’evento.
Nel residuo stellare è stato infatti possibile tracciare il gas, confermando in maniera inequivocabile che fu una rara e spettacolare fusione stellare tra due stelle, una delle quali era una gigante rossa di massa compresa tra 0.8 e 2.5 masse solari, a dare origine alla nova. I dati ottenuti tra il 2014 e il 2017, utilizzando vari strumenti, tra cui Apex (Atacama Pathfinder Experiment telescope) e Alma, hanno permesso di confermare la natura dell’evento del 1670, identificato come una red nova (nova rossa), una classe di stelle eruttive che si ritiene originata proprio dalla fusione di due stelle. Questa conferma è stata possibile grazie alla rilevazione di una molecola radioattiva nel gas, il monofluoruro di alluminio ( 26AlF) contenente il raro isotopo 26 dell’alluminio.
L’osservazione dell’isotopo 26Al fornisce infatti una visione diretta del processo di fusione avvenuto in Ck Vul, mostrando che anche gli strati interni, profondi e densi, della stella possono risultare esposti in una collisione stellare e vincolando la natura del sistema binario che si è fuso più di 300 anni fa.
Ma il risultato ottenuto dal gruppo internazionale di ricercatori guidato da Tomasz Kamiński dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, pubblicato oggi su Nature Astronomy, è importante anche nel più ampio contesto dell’evoluzione chimica della nostra galassia. Con questa prima osservazione diretta di 26Al in un oggetto stellare, per la prima volta un produttore di tale isotopo radioattivo viene identificato direttamente. È noto da decenni che circa due masse solari di 26Al sono diffuse nella Via Lattea, ma sebbene osservabile nelle emissioni di raggi gamma, questa nube radioattiva ha un’origine poco chiara. Dalle stime correnti sulla massa di 26Al in Ck Vul e dal tasso di fusione galattico sembra piuttosto improbabile che le fusioni siano le sole responsabili della presenza di questo materiale radioattivo nella galassia. Tuttavia, la massa effettiva di 26Al in forma atomica in Ck Vul e altri resti di fusioni potrebbe essere molto più elevata e gli attuali tassi di fusione potrebbero essere molto sottostimati, quindi il problema rimane aperto e il ruolo delle fusioni potrebbe non risultare trascurabile. CK Vul rimane dunque una sorgente enigmatica nel cielo, fornendo un ottimo soggetto per future rilevazioni astronomiche.
Infine, il lavoro di Kamiński e colleghi ha mostrato un ottimo accordo tra le previsioni degli spettroscopisti molecolari e le transizioni osservate nelle righe spettrali. L’utilizzo dei moderni interferometri nelle lunghezze d’onda millimetriche, come Alma, apre una nuova possibilità di studio degli oggetti celesti coinvolti nella produzione di 26Al nella Via Lattea, con risoluzioni angolari migliori rispetto a quelle ottenibili dagli osservatori nelle lunghezze d’onda gamma.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Astronomical detection of a radioactive molecule 26AlF in a remnant of an ancient explosion“, di Tomasz Kamiński, Romuald Tylenda, Karl M. Menten, Amanda Karakas, Jan Martin Winters, Alexander A. Breier, Ka Tat Wong, Thomas F. Giesen e Nimesh A. Patel.