COALITION S: A PARTIRE DA GENNAIO 2020

Scienza libera tutti con il Gold Open Access

Si chiama cOAlition S ed è l’iniziativa congiunta della Commissione europea con 11 tra enti nazionali ed europei che finanziano la ricerca scientifica. L’obiettivo è quello di rendere le ricerche finanziate con soldi pubblici accessibili e disponibili a tutti tramite una forma definita Gold Open Access. Ne parliamo con Antonella Gasperini (Inaf Arcetri) e Monica Marra (Inaf Bologna)

     12/09/2018

Logo della cOAlition S. Crediti: scienceeurope.org

Proprio oggi, mercoledì 12 settembre 2018, il Parlamento europeo si sta occupando dei cambiamenti alla legge sul diritto d’autore. Cambiamenti, questi, che detteranno le modalità di comunicazione nell’era digitale e che interessano anche l’accesso all’informazione scientifica. Ed è proprio l’accesso all’informazione scientifica l’oggetto della cOAlition S, l’iniziativa nata il 4 settembre scorso tra la Commissione europea e alcune istituzioni e agenzie di ricerca, nazionali ed europee (c’è anche l’Infn, unica presenza italiana), il cui intento lo si evince già dalle maiuscole contenute all’interno del termine inglese cOAlition che dà il nome all’iniziativa: ‘OA’ sta infatti per Open Access, cioè accesso libero alla produzione scientifica ottenuta grazie a fondi pubblici, ovvero grazie ai risultati della ricerca finanziata da agenzie ed enti nazionali ed europei. Tutto questo a partire dal primo gennaio 2020.

La coalizione, forte di un bilancio complessivo di 7.6 miliardi di euro, vorrebbe dare un forte impulso a livello globale per il passaggio da un sistema dove la letteratura scientifica è protetta da diritto d’autore e altre restrizioni legali a uno nel quale si possa pubblicare un articolo scientifico – o altra produzione scientifica – senza restrizioni legali, leggi sulla proprietà intellettuale, contratti di licenza d’uso e altre misure di protezione. Insomma, un sistema dove le pubblicazioni scientifiche siano disponibili in rete gratuitamente e per tutti.

In soldoni, con il meccanismo dell’open access il ricercatore, della propria pubblicazione, ritiene alcuni diritti, ma ne cede altri (con licenze come le Creative Commons) per mettere il pubblico nelle condizioni di fruire liberamente di essa, senza restrizioni. Un modello completamente diverso da quello dove, in certi casi, al ricercatore è proibito rendere liberamente accessibile la sua produzione, che è disponibile al pubblico solo dietro pagamento di un abbonamento o l’acquisto del singolo articolo dalla rivista che l’ha pubblicato.

Che nell’aria ci fosse questo vento di cambiamento lo si era iniziato a percepire già con la Dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica, firmata da diversi istituti internazionali, e successivamente con la Dichiarazione di Messina, il documento italiano a sostegno della dichiarazione di Berlino firmato da diversi atenei. A queste seguirono la Raccomandazione della Commissione europea sull’accesso all’informazione scientifica e sulla sua conservazione e il Documento Miur (Horizon 2020 Italia)Lo annunciò anche il Consiglio “Competitività”, che raccoglie i ministri dell’area scientifica, dell’innovazione, del commercio e dell’industria della unione europea, a conclusione di un incontro a Bruxelles nel 2016, del quale anche Media Inaf aveva dato notizia. Per raggiungere questo scopo, la coalizione ha stilato un piano – il Plan S, presentato a Tolosa nell’ambito di Esof 2018 – che elenca in dieci punti le azioni da intraprendere. Tuttavia, resta da vedere se questa iniziativa sarà sostenuta anche dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo, che dovranno anche valutare l’impatto sui costi sostenuti dagli atenei e sulle entrate delle case editrici.

Robert-Jan Smits, rappresentante della Commissione europea per la questione dell’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche, ha osservato che un’iniziativa come quella del Gold open access possono anche ridurre l’oligopolio che le grandi case editrici hanno sul mercato delle riviste scientifiche e consentire ai ricercatori di mantenere il diritto d’autore sulla loro produzione scientifica, e ha richiamato l’attenzione sul fatto che, nonostante la notevole crescita, negli ultimi anni, del settore dell’open access, i documenti pubblicati in Gold Open Access (Gold OA, la forma di accesso aperto promossa da cOAlition S) rappresentano solo il 15 per cento circa di tutti gli articoli accademici prodotti a livello globale.

E l’Inaf? Qual è la sua posizione rispetto all’accesso libero alle pubblicazioni scientifiche? «L’istituto ha già sottoscritto un position statement sull’accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica il 4 ottobre 2013», ricorda Antonella Gasperini, responsabile per Biblioteche, Musei e Terza Missione dell’ente. «Inoltre, sebbene ufficialmente non ne faccia ancora parte, si sta muovendo proprio nella direzione indicata dalla cOAlition S. È infatti all’attenzione della Direzione scientifica una bozza di policy Inaf sull’accesso aperto che verrà presto sottoposta alla Presidenza e al Consiglio di amministrazione per l’approvazione. Infine, un gruppo di lavoro interno all’Inaf sta completando la realizzazione del repository istituzionale dell’ente, che partirà operativamente con il 2019 – uno dei dieci principi indicati da PlanS della coalizione».

Ma cos’è esattamente il Gold Open Access? Lo abbiamo chiesto a Monica Marra, tecnologa all’Inaf di Bologna che si è occupata di open access.

«Semplificando, il Gold Open Access è una delle vie attraverso le quali si consegue la gratuità immediata delle pubblicazioni scientifiche per chi legge. Passa attraverso gli editori e spesso viene concesso dietro il corrispettivo di un costo specifico, l’Apc (Article Processing Charge), che è caricato sugli autori – e quindi su fondi pubblici – per ogni item accettato per pubblicazione. L’Apc può andare ad aggiungersi al costo tradizionale dell’abbonamento, dato che l’istituzione scientifica resta anche soggetto lettore. In questi termini, il Gold OA può essere ed è stato considerato anche come un aggressivo business model per una parte dell’editoria scientifica. Nella pratica, la situazione è variegata per la presenza di variabili come l’entità dei costi, i diritti e altro».

Questa tipologia di accesso aperto viene già adoperata? 

«Il Gold OA è già applicato, anche perché paradossalmente può consentire agli editori, ormai fortemente concentrati, profitti ancora maggiori che in passato. Tra chi fa scienza ne beneficia, comunque, chi pubblica su riviste che non consentono l’autoarchiviazione della versione definitiva, oppure che oppongono un embargo all’accesso aperto per un dato periodo, mentre la tempestività e l’ampiezza della disseminazione sono vitali per la ricerca. Se ne avvantaggia anche chi non fa parte di un’istituzione scientifica ma ha ugualmente interesse a leggere testi altamente specialistici e recenti, per esempio professionisti, ricercatori indipendenti, appassionati delle discipline – non esclusi, in alcuni casi, ambienti produttivi».

Qual è la sua opinione a riguardo?

«Molti fra coloro che si sono occupati di open access fin dagli esordi avvertono oggi un “tradimento” nella conversione di istanze fortemente idealistiche in modelli di business. Esiste anche una scuola di pensiero che mette in stretta relazione open access a pagamento e “platform capitalism“, mentre altri si concentrano sul raggiungimento di accettabili compromessi con le istanze degli editori. Molti studi dimostrano che pubblicare in open access dietro Apc può aggravare enormemente i costi per la scienza, anche per la coazione “di fatto” a incrementare il numero degli output che pesa sui ricercatori, mentre le risorse sono limitate. Tuttavia, fintanto che la ricerca viene valutata sulla base di indicatori bibliometrici tradizionali, chi fa ricerca non è abbastanza motivato a sperimentare o a richiedere modelli differenti, anche di open access. Oggi c’è molto lavoro in corso sulle metriche alternative; se in futuro pervenissero a strumenti efficaci, oppure se si valorizzasse la via “verde” (autoarchiviazione), anche limitando l’approccio journal-based nelle valutazioni (lo ha chiesto, per esempio, la dichiarazione internazionale Dora del 2012), la scienza potrebbe essere più aperta senza rischiare di rovinarsi per produrre, che è un paradosso stridente. È un discorso molto complesso, in cui comunque è essenziale mantenere uno stretto dialogo con chi fa scienza».