Una volta era semplice: bastavano alcuni punti di riferimento qui sulla Terra – la linea immaginaria che passava per l’Osservatorio di Greenwich, per esempio – e il gioco era fatto. Il “meridiano zero” faceva da àncora, e il resto veniva di conseguenza – o quasi. Ora le cose sono assai più complesse, soprattutto se lo spazio nel quale vogliamo orientarci non è più la sola superficie del nostro pianeta ma l’universo intero. Occorre un sistema inerziale di riferimento, una rete globale di punti di ancoraggio ben definiti da utilizzare come griglia ideale da usare come base per le nostre coordinate. Questa rete esiste, si chiama International Celestial Reference Frame (Icrf), e il 30 agosto scorso l’International Astronomical Union (Iau) – durante la sua Assemblea generale che si è svolta a Vienna, la stessa nella quale si è votato per cambiar nome alla Legge di Hubble – ha annunciato di averne adottato la terza versione, l’Icrf-3.
A che cosa serve, esattamente? Lo abbiamo chiesto a Monia Negusini, ricercatrice di geodesia spaziale all’Inaf Ira di Bologna.
«Entrerà in vigore dal primo gennaio 2019, e servirà, per esempio, per l’orientazione dei sistemi satellitari, come il Gps e Galileo, e per la navigazione delle sonde spaziali. Ma non ci sono solo i sistemi di posizionamento satellitari a dipendere dal sistema di riferimento celeste: anche gli studi dei fenomeni che avvengono sulla superficie terrestre, come i movimenti delle placche tettoniche, le eruzioni vulcaniche, la variazione del livello del mare, i terremoti o la posizione della Terra stessa nello spazio si basano sulla sua conoscenza. E maggiore è la precisione del sistema di riferimento celeste, più precise sono le osservazioni dei cambiamenti che avvengono sulla Terra».
Cosa cambia rispetto alla versione precedente?
«L’Icrf-3 include le posizioni di 4536 sorgenti extragalattiche – dei quasar – di cui 303 distribuite uniformemente nel cielo e considerate come sorgenti che definiscono gli assi del sistema. Il nuovo sistema porta un miglioramento della precisione con cui determinare la posizione degli oggetti nello spazio di un fattore 1.5 rispetto al precedente».
Come è stato realizzato?
«Il nuovo sistema di riferimento celeste è basato su circa 40 anni di dati, acquisti dal Vlbi (Very Long Baseline Interferometry) alle classiche frequenze geodetiche e astrometriche: le bande S/X, a 2.3/8.4 GHz. Osservazioni a cui hanno partecipato anche le antenne dell’Inaf di Medicina e di Noto, a cui sono state aggiunte le osservazioni raccolte negli ultimi 15 anni a frequenze più elevate – la banda K, a 24 GHz, e le bande X/Ka, a 8.4/32 GHz. Ancora una volta il Vlbi geodetico dimostra così l’importanza delle sue osservazioni, che in Italia si effettuano da oltre 30 anni, in un mondo integrato e interconnesso come il nostro attuale».