Un nuovo studio teorico sulle fasi finali della formazione terrestre dimostra che incontri “mordi e fuggi” giocano un ruolo significativo nell’acquisizione di acqua da parte di grandi protopianeti, proprio come quelli che sono diventati – crescendo – Marte e la Terra. I risultati sono stati presentati da Christoph Burger dell’Università di Vienna al Congresso europeo di scienza planetaria (Epsc) 2018 in corso a Berlino.
Quattro miliardi e mezzo di anni fa, il Sistema solare interno era un luogo caotico popolato da un numero oscillante tra i 50 e i 100 protopianeti, di dimensioni variabili tra quelle della Luna e di Marte, soggetti a frequenti collisioni giganti. Questi corpi, formatisi all’interno dell’attuale orbita di Marte, non contenevano acqua, dal momento che le condizioni erano troppo calde perché elementi volatili, come acqua o metano, potessero condensare. L’apporto d’acqua deve allora essere avvenuto attraverso collisioni con corpi provenienti da regioni più esterne, e quindi più fredde, del Sistema solare stesso.
Burger e colleghi della Università di Vienna e Tübingen hanno utilizzato simulazioni ad alta risoluzione per comprendere il comportamento dell’acqua e di altri materiali in una serie di scenari di impatto. I diversi esiti delle collisioni dipendono dal fatto che i due corpi si fondano assieme, oppure che il materiale si disperda o sia ridistribuito tra i due oggetti. I risultati variano in base a vari fattori, come velocità e angolo di impatto, la differenza di massa tra i corpi e la loro massa totale.
«Abbiamo trovato che le collisioni “mordi e fuggi”, dove l’impatto si verifica fuori dal baricentro e i corpi hanno velocità sufficiente per separarsi nuovamente dopo l’incontro, sono molto comuni», spiega Burger. «In questi scenari, percentuali di acqua molto alte possono essere trasferite tra i corpi collidenti, oppure espulse e perse del tutto».
Il più piccolo dei corpi nella coppia in collisione risulta spesso sconquassato in profondità, fino al nucleo, ed efficacemente spogliato dell’acqua, mentre il corpo più massiccio rimane più o meno invariato. Gli autori del nuovo studio vogliono ora come una catena di successive collisioni come questa possa influenzare l’evoluzione di un disco di planetesimi e protopianeti.
«Recenti ricerche dimostrano che le comete possono rappresentare solo una piccola frazione dell’acqua dei pianeti di tipo terrestre. Queste collisioni giganti all’inizio della storia del Sistema solare devono rappresentare una fonte altrettanto importante», conclude Burger.