IL GEORADAR SCANMARS

Un rabdomante italiano per Marte

Future missioni sul Pianeta rosso potranno cercare l’acqua nascosta nel sottosuolo grazie a un piccolo scanner radar messo a punto dall’Inaf e dall’Università di Perugia, simile a quello utilizzato per analizzare la zona della faglia coinvolta nel terremoto di Amatrice dell’agosto 2016

     21/09/2018

Analoghi astronauti utilizzano il geo radar ScanMars durante la missione analoga Amadee-18 in Oman. Crediti: Oewf – Austrian Space Forum

Un gruppo di cosiddetti astronauti analoghi ha sperimentato con successo un geo-radar che potrebbe aiutare futuri esploratori di Marte a identificare il punto in cui scavare un pozzo per trovare l’acqua. Si chiama ScanMars ed è un esperimento italiano il cui funzionamento è stato dimostrato con successo nella regione desertica del Dhofar, nel Sultanato dell’Oman, durante la missione analoga-marziana Amadee-18 nel febbraio 2018. I risultati sono stati presentati da Alessandro Frigeri dell’Istituto Nazionale di Astrofisica al Congresso europeo di planetologia (Epsc 2018) in corso di svolgimento a Berlino.

Sviluppato da Inaf e dall’Università di Perugia, il radar ha un aspetto simile a un piccolo tagliaerba e viene trascinato dagli astronauti sul terreno. Funziona in maniera simile a un metal detector, inviando impulsi di onde radio nel sottosuolo e registrandone il segnale di ritorno, un’eco che risulta diversa a seconda delle differenti strutture e materiali presenti sotto la superficie. Questo permette di ricostruire una mappa del sottosuolo e riconoscere, ad esempio, depositi di liquidi.

Dopo essere stati addestrati su come utilizzare ScanMars presso l’Austrian Space Forum di Innsbruck, promotore della missione Amadee-18, gli astronauti analoghi hanno messo alla prova il radar su quattro settori del Dhofar con differenti caratteristiche geologiche. In totale, hanno raccolto un totale di circa 70mila echi radar e 1.4 chilometri di profili a una profondità di 5 metri.

Crediti: Oewf – Austrian Space Forum

«L’elemento innovativo di ScanMars rispetto a dispositivi simili è che i dati sono stati acquisiti da astronauti analoghi e non da scienziati», spiega Frigeri. «Ciò significa che la formazione degli astronauti è diventata una parte fondamentale dell’esperimento».

Tra tutti i dati raccolti durante la spedizione, lo strumento ha riconosciuto correttamente il segnale tipico di un fiume asciutto, o wadi. «La qualità dei dati è molto buona e, anche se non siamo ancora in grado di distinguere in modo inequivocabile la presenza di acqua, possiamo trovare strutture alluvionali che potrebbero guidare i futuri astronauti a scavare dove c’è più probabilità di trovare acqua».

Guarda l’intervista ad Alessandro Frigeri realizzata all’Epsc 2018 di Berlino da MediaInaf TV: