Il dibattito sull’origine delle lune di Marte ha diviso gli scienziati per decenni, sin dagli albori della planetologia. Phobos e Deimos, i due piccoli e scuri satelliti naturali del Pianeta rosso, percorrono orbite quasi circolari, molto prossime al piano equatoriale di Marte. Due aspetti, questi – il colore e le caratteristiche orbitali – che hanno da sempre alimentato due correnti di pensiero diverse riguardo alla loro origine.
Gli scienziati studiano la composizione minerale degli oggetti osservandone gli spettri, dove si possono trovare le “impronte digitali” degli elementi che li costituiscono. Confrontando le impronte digitali spettrali delle superfici planetarie con una libreria di spettri caratteristici di materiali conosciuti, sono in grado di dedurre la composizione di questi oggetti distanti. Gran parte della ricerca sulla composizione degli asteroidi è stata condotta esaminando i loro spettri nella luce visibile e nel vicino infrarosso. Quello che si nota è che, in queste due bande dello spettro elettromagnetico – visibile e vicino infrarosso – Phobos e gli asteroidi di classe D hanno lo stesso aspetto: sono quasi privi di righe caratteristiche, presentando uno spettro elettromagnetico piatto all’avvicinarsi del rosso. Gli asteroidi della classe D sono quasi neri come il carbone perché, proprio come il carbone, sono composti da carbonio. Il fatto che Phobos presenti questo aspetto scuro ha portato all’ipotesi che la luna sia un asteroide volato un pochino troppo vicino a Marte e catturato dalla forza di gravità del pianeta.
D’altra parte, gli scienziati che hanno osservato le orbite delle lune di Marte, sostengono che non possono assolutamente essere asteroidi catturati dal pianeta. Questi esperti di dinamica credono piuttosto che le lune debbano essersi formate nello stesso periodo di Marte, o essere il risultato di un enorme impatto sul pianeta durante la sua formazione.
Quindi, da una parte ci sono gli spettroscopisti che dicono una cosa e, dall’altra, chi si occupa di dinamica celeste è convinto di qualcos’altro. E le due ipotesi non possono convivere.
Glotch, il primo autore del lavoro, ha deciso di guardare il problema sotto una luce diversa: il medio infrarosso, che si trova nello stesso intervallo della temperatura corporea. In particolare, ha ripreso in mano i dati di Phobos del 1998 ottenuti da uno strumento a bordo del Mars Global Surveyor, che passò gran parte della sua vita a osservare Marte e riuscì a dare un’occhiatina anche a Phobos, quando le passò vicino prima di stabilirsi in un’orbita più vicina al pianeta.
Glotch e i suoi studenti hanno confrontato gli spettri del medio infrarosso di Phobos intravisti da Mars Global Explorer con quelli ottenuti da campioni di un meteorite caduto sulla Terra vicino a Tagish Lake (che alcuni scienziati sostengono essere un frammento di un asteroide di classe D) e con altri tipi di roccia. In laboratorio, hanno sottoposto i loro campioni a condizioni fisiche simili a quelle in cui si trova Phobos, riscaldandoli da sopra e da sotto per simulare gli estremi cambiamenti di temperatura che subiscono gli oggetti che si trovano nel vuoto quando passano dall’essere illuminati dal Sole a essere in ombra.
«Abbiamo scoperto che, a queste lunghezze d’onda, il meteorite di Tagish Lake non assomiglia affatto a Phobos. In realtà, ciò che presenta analogie con Phobos, dal punto di vista dello spettro, è il basalto, una comune roccia vulcanica. E la maggior parte della crosta marziana è proprio fatta di basalto», ha detto Glotch. «Questo ci porta a credere che forse Phobos potrebbe essere il residuo di un impatto che si è verificato all’inizio della storia di Marte».
Il nuovo studio non sostiene che Phobos sia interamente costituito da materiale proveniente da Marte, ma i risultati sono consistenti con il fatto che la luna contenga una porzione della crosta del pianeta, forse come una fusione di detriti provenienti dal pianeta e i resti dell’oggetto che lo ha presumibilmente colpito.
Fries, uno scienziato non coinvolto nel nuovo studio, ci tiene a precisare che il meteorite di Tagish Lake è insolito e forse non è il miglior esempio di asteroide di classe D da confrontare con Phobos. Fries ha aggiunto che è improbabile che il nuovo studio sia in grado di produrre una risposta definitiva perché Phobos è soggetto a fenomeni di invecchiamento dello spazio che influiscono sul suo spettro di riflettanza, difficile da replicare in laboratorio. Ma lo scienziato ha anche affermato che è interessante il fatto che un mix di basalto e di materiale ricco di carbonio presenti analogie con Phobos. Un’altra possibilità, suggerisce, potrebbe essere che la polvere spaziale ricca di carbonio nelle vicinanze di Marte si sia accumulata sulle lune vicine, oscurando le loro superfici.
Quello che è certo è che gli scienziati potrebbero ottenere la risposta definitiva sulle origini di Phobos nei prossimi due anni, se la sonda giapponese Marian Moon eXploration (Mmx) e gli esploratori Osiris-Rex e Hayabusa2 completeranno le loro missioni per raccogliere campioni e riportarli sulla Terra per l’analisi. E Hayabusa2 è già sulla buona strada, anzi… i suoi due piccoli compagni di viaggio, i mini-rover Minerva, stanno già trotterellando su Ryugo, il loro asteroide personale.
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Geophysical Research:Planets l’articolo “MGS-TES spectra suggest a basaltic component in the regolith of Phobos” di Timothy D. Glotch, Katherine A. Shirley, Dylan S. McDougall e Alexander M. Kling