Si potrebbe pensare a una fake news, una delle tante che circolano in rete, e invece è tutto vero. Un team di astrofisici dell’Università della Florida Centrale (Ufc) ha sviluppato un metodo standardizzato per la creazione di suolo marziano e asteroidale, noti come simulanti o campioni analoghi. Lo studio è stato pubblicato lo scorso settembre sulla rivista Icarus, ed è molto simile a una ricetta culinaria. Questo perché i materiali planetari disponibili per lo studio di laboratorio provengono da una serie di campioni raccolti nel corso di missioni spaziali, nonché da una grande collezione di meteoriti – soprattutto condriti ordinarie. Questi materiali, però, sono rari e molto spesso costosi, così diversi gruppi di ricerca hanno prodotto materiali planetari sintetici che mirano a replicare una o più caratteristiche del campione di riferimento.
«Il simulante è utile per la ricerca, ora che stiamo cercando di andare su Marte. Se vogliamo andare, avremo bisogno di cibo, acqua e altri elementi essenziali. Mentre stiamo sviluppando soluzioni, abbiamo bisogno di un modo per testare la fattibilità di queste idee», spiega Dan Britt, professore di fisica e membro del gruppo di scienza planetaria della Ufc.
Gli scienziati che cercano modi per coltivare cibo su Marte – come insegna anche il film The Martian – hanno bisogno di testare le loro tecniche su un terreno che assomigli il più possibile a quello del Pianeta rosso. «Non possiamo permetterci di scoprire che il metodo non funziona una volta arrivati a destinazione, cosa faremmo a quel punto? Ci vogliono anni per arrivare su Marte», continua l’astrofisico americano.
La “ricetta” pubblicata dal team per lo sviluppo di uno standard condiviso (Mgs-1, Mars Global Simulant) si basa sulla firma chimica del terreno marziano Rocknest, raccolto e analizzato dal rover Curiosity. A differenza dei precedenti simulanti provenienti da materiale paesaggistico, Mars Global è pensato per essere assemblato ad initio da singoli componenti per fornire un’accurata corrispondenza con la mineralogia della regolite marziana. I simulanti basati su Mgs-1 vengono raccomandati per una varietà di applicazioni tra cui lo sviluppo d’utilizzo delle risorse in situ, per studi di agricoltura o astrobiologia e per i test di hardware di volo.
Si è optato per la creazione di uno standard condiviso in quanto gli esperimenti fatti sino a ora si basavano tutti su simulanti non standardizzati, e quindi difficili da comparare tra loro. In quanto fisico e geologo Britt conosce la sua “sporcizia”: come in una ricetta, gli ingredienti possono essere mescolati per imitare il terreno di diversi oggetti celesti, tra cui asteroidi e pianeti. Poiché la formula si basa su metodi scientifici e viene pubblicata in modalità open source, anche coloro che non ordinano i simulanti all’università americana possono creare la propria “sporcizia” per poi impiegarla negli esperimenti. Tutto questo al fine di ridurre il livello di incertezza del prodotto finale.
Kevin Cannon, primo autore dello studio, ricercatore post doc che lavora con Britt alla UFfc, spiega che su Marte esistono diverse tipologie di suolo, e che lo stesso vale per gli asteroidi. Sulla Terra per esempio esiste la sabbia bianca, quella nera, quella rosa, argilla e terriccio per citarne alcuni. Su altri mondi si potrebbero trovare terreni ricchi di carbonio, di sale o di argilla. «Con questa tecnica, possiamo produrre molte varianti. La maggior parte dei minerali di cui abbiamo bisogno si trovano sulla Terra, anche se alcuni sono molto difficili da ottenere», dice Cannon, che attualmente si trova in Montana per raccogliere ingredienti che serviranno a creare un simulante del suolo lunare. Il team dell’Ufc può così imitare la maggior parte degli ingredienti, andando a sostituire i materiali potenzialmente dannosi. Infatti tutti i simulanti prodotti in laboratorio soddisfano gli standard di sicurezza della Nasa.
I due ricercatori sono convinti che si possa sviluppare un mercato per questi prodotti, in quanto è più semplice ordinare i simulanti alla Ufc che provare a riprodurre questi campioni analoghi nei laboratori di tutta la nazione. Il team ha già circa trenta ordini in attesa, compreso quello per Kennedy Space Centre da mezza tonnellata.
«Mi aspetto che avremo un miglioramento nell’apprendimento grazie all’accesso a tutto questo materiale», confida Britt. Anche Cannon crede che la produzione dei simulanti contribuirà a dare un’ulteriore spinta per l’esplorazione del nostro Sistema solare, dopo gli investimenti fatti da Space X, Blue Origin e da altre compagnie private. «Per qualcuno che ha sempre amato la scienza spaziale», conclude Cody Schultz, ingegnere meccanico, «lavorare sul terreno sperimentale è stata un’esperienza affascinante. Un’esperienza fuori dal mondo».
Per saperne di più:
- Leggi su Icarus l’articolo “Mars global simulant MSG-1: A Rocknest-based open standard for basaltic martian regolith simulants“, di Kevin M. Cannon, Daniel T. Britt, Trent M.Smith, Ralph F. Fritsche e Daniel Batcheldor
Guarda su MediaInaf Tv l’intervista di Stefano Parisini a Giovanni Poggiali, giovane ricercatore all’Inaf di Firenze incontrato a Berlino all’Epsc 2018: