Il primo fu nel 1903, a Marie Sklodowska-Curie. Il secondo sessant’anni dopo, nel 1963, a Maria Goeppert-Mayer, per i suoi studi sul nucleo atomico. Temevamo di dover attendere altri sessant’anni per rivedere il Premio Nobel per la Fisica assegnato a una donna. Invece ne sono bastati “solo” 55. È di appena pochi minuti fa l’annuncio dei vincitori del premio 2018: Arthur Ashkin, Gérard Mourou e… Donna Strickland, fisica canadese alla guida del gruppo sui laser ultraveloci dell’università canadese di Waterloo.
E inevitabilmente gli studi e i risultati premiati – pur importantissimi: riguardano “oggetti fatti con la luce”, queste le parole usate dall’Accademia svedese per annunciare i nomi dei vincitori – rischiano di passare in secondo piano. Riassumiamoli dunque in breve, per poi passare a quella che è la vera notizia del giorno. Al primo, il fisico 96enne Arthur Ashkin, di New York, il premio è stato conferito per aver inventato una sorta di “pinzette ottiche” in grado di afferrare particelle, atomi, virus e altre cellule viventi con “dita” formate da raggi laser. Principale merito dei secondi – il 74enne francese Gérard Mourou e, appunto, la 59enne canadese Donna Strickland – è invece, spiega il comunicato stampa dell’Accademia, quello di aver spianato la strada alla produzione degli impulsi laser più brevi e più intensi mai creati dall’umanità.
Una tecnica, la loro, che ha dato vita a nuovi campi di ricerca e portato a numerose applicazioni in campo industriale e medico: una per tutte, i milioni di interventi chirurgici agli occhi effettuati nel mondo, compiuti grazie a laser sempre più precisi. Un contributo rivoluzionario a un settore – quello della fisica dei laser – che sta assumendo un’importanza sempre maggiore mano a mano che l’intensità e la brevità dei raggi che siamo in grado di produrre aumentano. Questo perché quando la durata degli impulsi scende al di sotto delle centinaia di attosecondi (un attosecondo è un miliardesimo di miliardesimo di secondo) e quando la loro intensità si eleva al di là della soglia dei petawatt (un’energia equivalente a quella necessaria a illuminare centinaia di migliaia di miliardi di lampade) ecco che si spalancano le porte ad applicazioni altrimenti inimmaginabili – dalla manipolazione quantistica a nuove terapie in campo oncologico.
Un contributo rivoluzionario, dicevamo, destinato però a essere messo in ombra da un fatto che dovrebbe essere quanto di più ordinario e insignificante ma che così non è: una delle tre premiate è donna. Emozionatissima, in diretta telefonica, quando le è stato fatto notare che era la terza donna nella storia a ricevere il premio ha risposto con tono fra il sorpreso e il beffardo: “Davvero? Tutto qui? Pensavo dovessero essere molte di più… Ovviamente dobbiamo celebrare le fisiche donne, perché ci siamo. E sono onorata di essere una di loro”. E in quel because we’re out there – perché ci siamo, ma anche perché ci siamo a modo nostro – c’è tutto l’orgoglio e la gioia per un riconoscimento che, per una volta, si ricorda non solo del supervisore e mentore (tale è stato Mourou per Strickland) ma anche della giovane scienziata che lavorando con lui – era il 1985 – riuscì a realizzare la cosiddetta chirped pulse amplification: la tecnica, appunto, impiegata per produrre impulsi laser brevissimi e intensissimi.
«Fa davvero piacere vedere che nell’edizione di quest’anno del Premio Nobel per la Fisica sia stata premiata una donna, la terza in tutta la storia di questa categoria», commenta il presidente dell’Inaf Nichi D’Amico. «Un numero davvero esiguo, che non rende merito al lavoro e al contributo fondamentale delle ricercatrici al progresso della scienza. Il mio auspicio è che questo sia il primo concreto passo per invertire nei prossimi anni questo ingiusto squilibrio».
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