Immaginate di trovarvi all’interno di un laboratorio e di voler rispondere a domande immense, quali: come si è formata la vita sulla Terra? E come potrebbe essersi originata altrove nell’universo? Come fare? Se anche voi avete pensato: costruendo un marchingegno infernale che simula le condizioni ambientali presenti sulla Terra primordiale, o su pianeti simili alla Terra, per esplorare come sono stati assemblati gli elementi costitutivi della vita, ci avete azzeccato. Anche se il marchingegno infernale non lo è, al contrario semmai, visto quello che vuole fare. È ciò che ha fatto un team multidisciplinare di tre ricercatori – Ralph Pudritz, Maikel Rheinstadter e Yingfu Li, rispettivamente un astrofisico, un biofisico e un biochimico – del McMaster Origins Institute della omonima università. I tre scienziati hanno progettato e sperimentato una rivoluzionaria tecnologia che potrebbe, per la prima volta, fornire prove sperimentali di come la vita si sia originata sulla Terra e come questa possa essere emersa altrove nell’Universo.
«Le camere climatiche esistenti sono tante, spesso vengono usate per studiare e ottimizzare la crescita delle piante. Il nostro simulatore planetario, però, è unico», spiega Rheinstadter a Media Inaf, «in quanto combina il controllo della temperatura, dell’umidità, della pressione atmosferica e dell’irradiazione – tra i 145 e i 1000 nm – in una singola camera compatta».
Il loro è un simulatore planetario: una camera climatica molto sofisticata che, simulando le condizioni ambientali presenti sulla Terra primordiale, o su pianeti simili al nostro, permetterebbe di capire come si sono assemblati i ribonucleotidi – secondo alcune teorie, le prime molecole prebiotiche organiche, i mattoncini della vita primordiale per interdirci – e come queste molecole prebiotiche siano diventate il primo materiale genetico comparso sulla Terra: Rna auto-replicante, ovvero macromolecole biologiche capaci in maniera autonoma di produrre una copia di se stesse, prodotte dall’assemblaggio dei singoli mattoncini. La camera, riproducendo l’ambiente geofisico, l’atmosfera, l’irradiazione e i cicli stagionali primordiali, simulerà ciò che sarebbe accaduto nei piccoli stagni caldi di ambienti vulcanici primitivi. In accordo con una ricerca pubblicata su Pnas da Ben Pearce e da Ralph Pudritz, uno dei tre ideatori della camera, in collaborazione con ricercatori del Max Planck Institut, proprio in questi piccoli stagni caldi vulcanici, a partire dal suddetto materiale prebiotico, trasportato da meteoriti, si sarebbero formati questi polimeri di RNA come risultato della precipitazione dei mattoncini resa possibile da cicli di umido/secco ed evaporazione/precipitazione.
Esperimenti che hanno tentato di spiegare come si sia passati da un mondo inorganico, fatto per esempio di acqua (H2O), metano (CH4), ammoniaca (NH3) e idrogeno (H2), a uno organico, costituito dai precursori semplici come aminoacidi e nucleotidi, ne sono stati condotti diversi. Pionieristici furono quelli di Harold Urey e Stanley Miller del 1953, poi ripetuto nel 2003. Con quest’ultimi esperimenti condotti dal team di ricerca del McMaster Origins Institute, invece, si vuole capire come sulla Terra, e su altri pianeti definiti abitabili, si sia passati da un mondo organico costituito da precursori “semplici”, come i nucleotidi, a uno primordiale biologico, a Rna.
Per testare questa ipotesi, i tre ricercatori creeranno soluzioni di molecole che si suppone fossero presenti in questi stagni atavici. Soluzione che, dopo un’asciugatura in supporti di silicio, immetteranno nella camera climatica per sottoporla a cicli umido/secco, giorno/notte e stagionali, come pure a temperature estreme, ambiente ossidante e livelli elevati di radiazioni: tutte condizioni presenti nella Terra primitiva. Così facendo, in breve tempo, i ricercatori potranno simulare anni di questi cicli alle medesime condizioni, potendo così studiare la formazione delle sequenze di Rna e vedere se una qualsiasi di queste può avere acquisito attività enzimatica, necessaria per catalizzare il processo di auto-replicazione, e sufficiente affinché possa svolgere una funzione genetica. Vogliono cioè valutare se si formano i cosiddetti ribozimi, “fossili viventi” di una vita ancestrale basata esclusivamente su queste macromolecole che le primordiali forme di vita avrebbero usato come materiale genetico e come molecole con funzione strutturale e catalitica prima di passare alle macromolecole più complesse: Dna e proteine. Quanto occorrerà attendere? «Abbiamo già ottenuto i primi risultati preliminari», dice Rheinstadter a Media Inaf, «e li stiamo preparando per la pubblicazione».
Per saperne di più:
- Leggi su Pnas l’articolo “Origin of the RNA world: The fate of nucleobases in warm little ponds“, di Ben K. D. Pearce, Ralph E. Pudritz, Dmitry A. Semenov e Thomas K. Henning
Guarda il video (in inglese) del McMaster Origins Institute:
Modifica del 10.10.2018: aggiunte due risposte giunte da Maikel Rheinstadter quando l’articolo era già online