COSÌ SI ESTINGUONO “CADENDO” NEGLI AMMASSI

Quando le galassie non formano più stelle

Grazie a osservazioni allo stato dell’arte di lontani ammassi di galassie, un team internazionale di astronomi ha trovato forti indizi sul meccanismo fisico principale responsabile del crollo di formazione stellare, scoprendo inoltre che il tempo impiegato da una galassia a fermare la formazione stellare aumenta con l’età dell'universo

     29/10/2018

Immagine del telescopio spaziale Hubble di uno degli ammassi SpARCS utilizzati nello studio, visto come appariva quando l’universo aveva 4.8 miliardi di anni. Crediti: Jeffrey Chan, UC Riverside

Gli ammassi di galassie sono regioni dell’universo in cui si trovano centinaia di galassie legate gravitazionalmente tra loro. Contengono migliaia di miliardi di stelle, ma anche gas caldo e materia oscura. Quando una galassia cade in un ammasso, la formazione stellare si arresta abbastanza rapidamente, in un processo noto come estinzione, ma non se ne conosce il motivo. Tra le diverse spiegazioni proposte dagli astronomi, una è che il gas freddo – che non ha ancora formato stelle – portato con sé dalla galassia entrante nell’ammasso venga espulso dal gas caldo e denso già presente in quest’ultimo, in un vero e proprio processo di rimozione. Un’altra idea è che le galassie risultino strangolate, cioè smettano di formare stelle perché la loro riserva di gas freddo non viene più rifornita una volta dentro l’ammasso, mentre una terza possibilità è che l’energia proveniente dalla formazione stellare trascini gran parte del gas freddo lontano dalla galassia stessa, in uno scenario di deflusso.

Poiché questi tre diversi processi fisici prevedono che le galassie si estinguano in tempi scala relativi diversi rispetto alla storia dell’universo, se gli astronomi fossero in grado di confrontare il numero di galassie estinte, osservate su una lunga base temporale, il processo dominante di estinzione risulterebbe più facilmente evidente. La difficoltà nel trovare ammassi distanti – e ancora più quella di misurare le proprietà delle galassie in essi contenute – rende l’osservazione ardua.

Ryan Foltz. Crediti: Kati Hatch

Con un nuovo studio presentato su The Astrophysical Journal, un gruppo internazionale di astronomi, guidato da Ryan Foltz dell’Università della California a Riverside (Ucr), ha ottenuto la migliore misura oggi possibile dei tempi scala dell’estinzione, misurando come varia lungo oltre il settanta per cento della storia dell’universo. La misura è stata ottenuta nell’ambito della Spitzer Adaptation of the Red-sequence Cluster Survey (SpARCS), mediante l’introduzione di nuove tecniche di rilevamento degli ammassi che hanno consentito la scoperta di centinaia di nuovi ammassi nell’universo distante. «Confrontando le osservazioni del tempo scala di estinzione nelle galassie in ammassi nell’universo distante con quelle nell’universo vicino, è emerso che un processo dinamico come la rimozione del gas sia più adeguato alle previsioni rispetto a strangolamento o deflusso», spiega Foltz.

Usando alcuni degli ammassi appena scoperti nell’ambito di SpArcs, il team di astronomi ha inoltre scoperto che una galassia impiega più tempo a smettere di formare stelle man mano che l’universo invecchia: solo 1.1 miliardi di anni quando l’universo era giovane (età dell’universo: 4 miliardi di anni), 1.3 miliardi di anni quando l’universo era di mezza età (6 miliardi di anni) e 5 miliardi di anni nell’universo attuale.

Gillian Wilson. Crediti: I. Pittalwala, UC Riverside

Le osservazioni che hanno permesso queste scoperte sono state fatte con il telescopio da dieci metri di diametro del W. M. Keck Observatory alle Hawaii e con i telescopi gemelli Gemini da otto metri tra Hawaii e Cile. «Grazie al fenomenale investimento nel nostro lavoro da parte di questi osservatori, ora crediamo di avere una buona idea di come la formazione stellare si fermi nelle galassie più massicce degli ammassi», commenta Gillian Wilson, professoressa di fisica e astronomia all’Ucr a capo di SpArcs. «Ci sono buone ragioni, tuttavia, per credere che le galassie di massa minore possano placarsi con un processo diverso. Questa è una delle domande a cui il nostro team sta lavorando per rispondere prossimamente». I risultati dello studio pubblicato hanno infatti permesso agli astronomi di ottenere ulteriore tempo osservativo ai telescopi Gemini e con il telescopio spaziale Hubble.

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