Ve lo avevamo annunciato qualche mese fa, che il telescopio orbitante Kepler sarebbe andato “in pensione”, e così è successo. Dopo nove anni trascorsi nello spazio profondo a raccogliere dati e a scoprire esopianeti (più di 2600 gli esemplari nella sua collezione), il satellite della Nasa ha terminato le scorte di idrazina, il carburante che lo ha reso funzionante in tutti questi anni. Lanciata il 7 marzo 2009 con un vettore Delta II dalla Cape Canaveral Air Force Station e aggiornata anni dopo nella versione K2, la sonda ha fatto la storia della caccia ai pianeti extrasolari, ma adesso le operazioni sono terminate per sempre. La Nasa ha deciso di “parcheggiare” il veicolo spaziale nella sua attuale orbita, lontano dalla Terra. Ricordiamo che la stessa fine è prevista anche per Dawn della Nasa, a cui l’Italia partecipa con un significativo contributo scientifico grazie all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e il supporto dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). La sonda Dawn si prepara a concludere, dopo 11 anni, la sua missione sempre per mancanza di propellente.
Idrazina, dallo Shuttle alle sonde spaziali – Kepler venne lanciato con a bordo circa 12 chili di idrazina, il combustibile che di solito viene utilizzato per il controllo orbitale e d’assetto dei satelliti (lo si usava anche nello Space Shuttle). Per la missione primaria era prevista una durata di tre anni e mezzo, ma la Nasa garantì che la quantità di carburante sarebbe bastata per almeno sei anni: secondo le stime, sarebbero stati sufficienti dai 7 agli 8 chilogrammi di carburante, ma il serbatoio era talmente capiente che sarebbe stato riempito solo parzialmente. Così, poco prima del lancio, il team di ingegneri decise di riempire completamente il serbatoio e a questa fortunata intuizione si deve la longevità della missione.
A differenza di altre sonde, Kepler non può ricorrere ai pannelli solari perché non è stata dotata di un motore elettrico o a propulsione elettrica. Cosa vuol dire? I pannelli solari forniscono energia elettrica per alimentare gli strumenti, ma non contribuiscono alla spinta. In questi anni i propulsori sono stati alimentati con idrazina, propellente che è stato necessario per tutte le manovre: dalla correzione della posizione della navicella alle grandi manovre orbitali, come puntare verso nuovi campi di vista e orientare i trasmettitori verso la Terra in fase di download di dati.
La prima a dare la caccia agli esopianeti – Kepler è stata la prima sonda della Nasa progettata per lo studio degli oggetti planetari fuori dal Sistema solare, e in questi anni ha di gran lunga superato le aspettative di scienziati e ingegneri. Kepler ha aperto gli occhi sulla diversità dei pianeti che esistono nella nostra galassia. Analizzando i dati più recenti raccolti da Kepler si può concludere che dal 20 al 50 per cento delle stelle visibili nel cielo notturno possiedono probabilmente piccoli pianeti, possibilmente rocciosi, simili per dimensioni alla Terra e situati all’interno della zona abitabile delle loro stelle progenitrici (cioè si trovano a distanze tali dalle loro stelle da poter avere acqua liquida sulla superficie, e sappiamo che l’acqua è un ingrediente fondamentale per la vita così come la conosciamo).
Il successo del telescopio spaziale Kepler – il cui progetto embrionale risale a 35 anni fa – si deve a una combinazione di tecniche all’avanguardia per misurare la luminosità stellare con la più grande(all’epoca del lancio) fotocamera digitale realizzata per le osservazioni dello spazio esterno.
Guasti e aggiornamenti – Kepler è sopravvissuto a diversi guasti meccanici. I primi problemi arrivarono nel 2013, quando la perdita della prima (nel 2012) e poi della seconda delle quattro ruote di reazione, fondamentali per mantenere il telescopio puntato verso il bersaglio, stava per decretare la fine della missione. I tecnici della Nasa decisero di aggiornare la sonda: il telescopio, ora chiamato K2, venne riequilibrato con le sole due ruote rimaste affidandosi al vento solare. Un secondo guasto risale al 2016, quando durante un contatto programmato, gli ingegneri di riscontrarono che il satellite era impostato in modalità di emergenza (Emergency Mode), il che prevede bassa operatività e alto consumo di carburante. In pochi giorni, però, i tecnici responsabili delle operazioni di volo riuscirono a recuperare con successo il telescopio spaziale ristabilendo una condizione di stabilità. L’aggiornamento alla versione K2 ha permesso alla sonda di passare da 150mila a 500mila stelle da osservare durante le diverse campagne.
Il futuro – Prima di decretarne la fine, gli scienziati hanno spinto Kepler al massimo delle sue potenzialità, completando con successo diverse campagne osservative e scaricando preziosi dati scientifici. Gli ultimi dei quali completeranno il database del nuovo cacciatore di pianeti della Nasa, Tess, il Transiting Exoplanet Survey Satellite. Lanciato lo scorso aprile, Tess si occuperà (come Kepler) di individuare minuscole variazioni di luminosità nelle stelle in cerca di esopianeti transienti; la novità è che questo satellite sarà in grado di esplorare quasi l’intera volta celeste in un periodo osservativo di due anni e – a differenza di Kepler – riuscirà a rilevare anche i pianeti rocciosi più piccoli attorno a stelle molto brillanti e vicine a noi.
E la sonda Dawn? – Da quest’estate ormai si attende anche il pensionamento di Dawn, e a giorni dovrebbe arrivare l’avviso dalla Nasa. Dawn esaurirà il carburante principale, sempre l’idrazina, che le permette di controllare il suo posizionamento e la mantiene in comunicazione con la Terra. Quando ciò accadrà, la navicella smetterà di funzionare ma rimarrà in orbita attorno al pianeta nano Cerere. Lanciata bel 2007, la sonda è passata alla storia come la prima ad aver osservato in maniera continuativa due oggetti distinti del Sistema solare, cioè l’asteroide Vesta e il pianeta nano Cerere, e come la prima navicella spaziale ad aver studiato un pianeta nano.
Entrambe le missioni, Dawn e Kepler, hanno dato agli scienziati molto a cui pensare. Con Dawn abbiamo scoperto che Cerere poteva ancora essere geologicamente attivo e che avrebbe potuto avere acqua salmastra e depositi di sali sulla sua superficie. Dalla missione di Kepler, si è capito che ci sono più pianeti nella nostra galassia di quanto pensassimo e che molti di loro potrebbero essere promettenti per la vita così come la conosciamo. Ci ha anche mostrato la varietà dei pianeti e dei sistemi planetari là fuori, alcuni dei quali sono molto diversi dai nostri.
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