Più regolari di un orologio atomico, le pulsar sono fari cosmici che danno il ritmo all’universo, emettendo a intervalli costanti potenti fasci di luce. Non di luce visibile, però: tipicamente, la radiazione elettromagnetica che osserviamo provenire da queste trottole di neutroni è “luce radio” o “luce gamma”.
Alcune, in realtà, emettono anche “luce X”. Il problema è trovarle: a differenza dei telescopi sensibili ai raggi gamma, che hanno un ampio campo di vista, e possono dunque funzionare come una sorta di grandangolo, quelli sensibili alla radiazione X sono più simili a un teleobiettivo. Per individuarle occorre dunque un sistema che indichi su quali conviene “puntare”, anche in senso letterale. Ed è questo sistema – più propriamente, un modello in grado di prevedere l’emissione X di una pulsar della quale sia nota la sua emissione gamma – ciò che ha messo a punto un team di ricercatori guidato da Jian Li del Desy, il Deutsches Elektronen Synchrotron tedesco.
Messo alla prova, il modello – ora descritto sulle pagine di ApJ Letters – si è dimostrato estremamente produttivo e accurato. Dalla lista di pulsar con emissione gamma elencate nel secondo catalogo dello strumento Lat del telescopio spaziale Fermi della Nasa, il nuovo metodo ha consentito di selezionare tre pulsar, identificandole come candidati promettenti per l’emissione in banda X. Andando a verificare nei cataloghi dei due telescopi spaziali Xmm-Newton e Chandra – entrambi sensibili ai raggi X – se, in effetti, era presente questa emissione, la previsione del modello è stata pienamente confermata. «Non solo abbiamo rilevato pulsazioni in banda X da tutte e tre le pulsar, ma abbiamo anche scoperto che lo spettro dell’emissione X è praticamente identico a quello previsto dal modello», commenta soddisfatto Li.
«L’emissione di radiazione di alta energia (banda dei raggi X e raggi gamma) delle pulsar isolate è dovuta all’accelerazione di particelle nella magnetosfera della pulsar, e alla loro interazione con le linee del campo magnetico», spiega a Media Inaf uno dei coautori dello studio, Alessandro Papitto, dell’Inaf di Roma. «Su 200 pulsar di raggi gamma conosciute, però, solo il 10 per cento è stato visto emettere pulsazioni in raggi X. Il modello su cui si basa l’articolo fa una predizione della quantità di raggi X emessi sulla base dell’emissione di raggi gamma osservata. In questo modo sono stati selezionati dei candidati, e in effetti due sorgenti sono state effettivamente osservate come pulsar X per la prima volta, e per una terza pulsar si è confermata una rivelazione precedente».
Data la scarsità di sorgenti conosciute, la scoperta di queste tre pulsar X ha un notevole rilievo scientifico: comporta infatti un aumento significativo del numero totale di pulsar note per emettere raggi X non termici, ovvero prodotti dai meccanismi ai quali accenna Papitto, e in particolare dalla cosiddetta emissione di sincrotrone. Ora il team si aspetta che nei prossimi anni, grazie alla capacità del modello di indicare esattamente dove cercarle, ne verranno scoperte molte altre. Ma avere un campione consistente di pulsar X non è interessante solo per gli astrofisici: queste sorgenti, proprio per la loro natura di fari cosmici ultra-regolari, potranno essere sfruttate anche per le future attività di navigazione nello spazio.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Theoretically motivated search and detection of non-thermal pulsations from PSRs J1747-2958, J2021+3651, and J1826-1256”, di Jian Li, Diego F. Torres, Francesco Coti Zelati, Alessandro Papitto, Matthew Kerr e Nanda Rea