Dal gran numero di esopianeti scoperti da missioni come Kepler e CoRoT risulta evidente che la presenza di pianeti è una caratteristica piuttosto comune tra le stelle della nostra galassia. Si stima, ad esempio, che in media ogni stella di piccola massa ospiti un esopianeta. La formazione planetaria è quindi un fenomeno che avviene diffusamente nella Via Lattea. Ma avviene ovunque allo stesso modo o l’evoluzione dei dischi protoplanetari – le strutture a disco che caratterizzano le stelle giovani e che evolvono in sistemi planetari – può venire influenzata dall’ambiente circostante, o dalla radiazione emessa dalla loro stella?
Un aspetto interessante da analizzare in questo contesto è la possibilità che la radiazione UV e i raggi X incidenti sulle polveri dei dischi protoplanetari possano indurre la formazione di composti chimici organici. I dischi protoplanetari, infatti, ospitano una ricca popolazione di grani di polveri, il cui aggregamento in agglomerati – e infine in planetesimali, gli embrioni della formazione planetaria – costituisce il processo alla base della formazione dei pianeti. Su questi grani di polvere, date le basse temperature dei dischi (tipicamente sotto i -200 gradi), si depositano strati di ghiacci di sostanze come l’acqua (H2O) o il monossido di carbonio (CO). Irradiati da fotoni UV e dai raggi X, questi ghiacci possono sublimare – attraverso un processo particolare di sublimazione chiamato desorption, perché interessa lo strato superficiale dei ghiacci depositati sui grani – arricchendo l’ambiente di formazione planetaria di composti organici, alcuni dei quali fondamentali per lo sviluppo della vita.
Questo processo è l’argomento trattato in uno studio – pubblicato il 21 novembre su The Astrophysical Journal – guidato da Antonio Jiménez-Escobar, ricercatore all’Inaf di Palermo. L’articolo si basa su esperimenti condotti presso l’Interstellar Photo-process System del National Synchrotron Radiation Research Center, a Hsinchu (Taiwan): una camera a vuoto spinto capace di raggiungere una pressione di 1.3 × 10−10 mbar. Durante l’esperimento i ricercatori hanno irradiato per circa 12 minuti, con raggi X, un composto di ghiaccio di H2O+CO+NH3 (acqua, monossido di carbonio e ammoniaca) tenuto a -260 gradi, confrontando lo spettro del composto sia prima che durante l’esposizione. Dall’esperimento è risultata un’evidente sublimazione di molecole organiche dal composto. Gli autori dello studio hanno inoltre misurato l’efficienza di sublimazione dovuto ai raggi X e confrontato i valori con quelli ottenuti irradiando il ghiaccio con radiazione UV. L’efficienza di sublimazione dovuta ai raggi X è da 2 a 40 volte maggiore che con i raggi UV, sebbene la prima tenda a diminuire rapidamente con il tempo. Nel contesto della formazione planetaria, il processo di sublimazione delle molecole organiche depositate sui grani a seguito dell’irraggiamento di raggi X e UV, emessi dalla stella centrale o da stelle vicine, è quindi di grande importanza per l’evoluzione chimica dei sistemi planetari in formazione.
«I raggi X giocano un ruolo molto importante nell’arricchimento sia del ghiaccio sia della fase gas di composti organici complessi», spiega a Media Inaf Jiménez-Escobar. «Alcuni di questi, come il CH3CN o HCN, hanno un alto interesse biologico, poiché possono essere coinvolti nella sintesi di aminoacidi. L’arricchimento della fase gas avviene tramite due regimi. Una fase iniziale a bassa fluenza, in cui il desorbimento è prodotto da eccitoni indotti dal sustrato rilasciando molecole debolmente legate alla superficie, seguite dal rilascio di molecole tramite altri meccanismi, come DIiet (Desorption Induced by Electronic Transitions) o photo-chemi-desorption. La transizione tra questi due regimi è regolata dal numero di specie debolmente legate».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “X-Ray Photo-desorption of H2O:CO:NH3 Circumstellar Ice Analogs: Gas-phase Enrichment”, di A. Jiménez-Escobar, A. Ciaravella, C. Cecchi-Pestellini, C.-H. Huang, N.-E. Sie, Y.-J. Chen e G. M. Muñoz Caro