RISCHIO D’IMPATTO: 0.037 PER CENTO

Bennu, la minaccia si chiama Yarkovsky

Fra i compiti che attendono la missione Osiris-Rex, giunta in orbita attorno all’asteroide lunedì scorso, c’è anche quello di misurare con precisione e “dal vivo”, per la prima volta, l’effetto Yarkovsky. Ottenendo così informazioni cruciali per valutare con precisione la probabilità di un futuro impatto di Bennu con la Terra

     07/12/2018

Le dimensioni di Bennu a confronto con quelle dell’Empire State Building e della Torre Eiffel. Crediti: Nasa

Che ci andiamo a fare, su Bennu? Perché investire tante energie e denaro per calare una sonda su un asteroide che si trova attualmente a oltre 120 milioni di km da noi? Una missione, fra l’altro, in apparenza del tutto analoga a quella che sta portando a termine Hayabusa2 su Ryugu, altro asteroide dal quale verranno prelevati campioni da riportare a Terra? Mettiamola così: atterrare su Bennu sarà un ottimo investimento per i nostri pronipoti.

Scoperto nel 1999, per tipo di traiettoria e dimensioni Bennu è infatti un asteroide potenzialmente pericoloso per il nostro pianeta. Partiamo dalle dimensioni: mezzo chilometro. Più che sufficienti, nel malaugurato caso d’un impatto, per attraversare l’atmosfera terrestre mantenendo una massa minacciosa al punto da devastare un’ampia regione del nostro pianeta.

E a quanto è data, questa sventurata circostanza? Nell’epoca più a rischio fra quelle del prossimo futuro, ovvero fra il 2175 e il 2196, i calcoli orbitali stimano una probabilità d’impatto di 1 su 2700. Detto altrimenti, al 99.963 per cento l’asteroide non ci colpirà. Percentuale rasserenante? O è bene preoccuparsi? La domanda che gli scienziati si pongono è un’altra: come fare per rendere più preciso e affidabile il calcolo delle future traiettorie di Bennu?

La risposta è tutt’altro che semplice. Benché ogni qual volta l’asteroide passa “vicino” alla Terra – e avviene più o meno ogni sei anni – una schiera di telescopi in banda ottica, infrarossa e radio lo tracci e lo fotografi in lungo e in largo per ricostruirne al meglio traiettoria e comportamento, e nonostante i modelli orbitali dati in pasto ai computer tengano conto di ogni possibile interazione gravitazionale (con il Sole, con la Luna, con i pianeti e con gli altri asteroidi), l’incertezza continua a rimanere elevata.

Un po’ come per il meteo, il problema è con le previsioni a lungo termine. Se infatti conosciamo l’attuale posizione di Bennu con un margine di errore di pochi chilometri, e anche a medio termine la finestra d’errore – 30 km per il passaggio del 2060 – sia più che accettabile, provando a calcolarne la posizione a oltre mezzo secolo da oggi ecco che l’incertezza aumenta vertiginosamente: 14mila km nel 2080, 160mila km (quasi la metà della distanza  fra la Terra e la Luna) nel 2135.

Rappresentazione artistica del “touch and go” di Osiris-Rex su Bennu. Crediti: Nasa Goddard Space Flight Center

«Al momento Bennu, fra quelli presenti nel nostro database, è in assoluto l’asteroide del quale conosciamo meglio l’orbita. Eppure, se guardiamo a dopo il 2135, non abbiamo idea di dove sia diretto», ammette Steven Chesley, ricercatore al Center for Near-Earth Object Studies della Nasa e membro del team di Osiris-Rex, con il compito proprio di prevedere la futura traiettoria di Bennu.

Le ragioni sono più d’una, ma il contributo all’incertezza dei singoli fattori che rendono così difficili le previsioni a lungo termine è in realtà abbastanza contenuto. Tranne che per uno: l’effetto Yarkovsky. Descritto per la prima volta dall’ingegnere polacco Ivan Osipovich Yarkovsky nel 1901, è un effetto dovuto all’azione della luce solare sull’asteroide: scaldandone il lato illuminato, fa sì che successivamente il calore assorbito venga irradiato. Ed è questo irradiamento che ne altera in modo non semplice da prevedere la traiettoria, in base alla direzione e alla velocità di rotazione dell’asteroide stesso. Nel caso di Bennu, parliamo di un’alterazione dell’orbita – a partire al 1999, anno della scoperta – di circa  284 metri all’anno in direzione del Sole.

Un’alterazione apparentemente piccola, ma che si propaga nel tempo. E, soprattutto, assai più imprevedibile di quella dovuta a forze gravitazionali. Questo perché dipende da fattori molteplici – quali l’esatta morfologia e composizione della superficie dell’asteroide – troppo complessi per la messa a punto di modelli adeguati. La speranza degli scienziati è che la conoscenza approfondita che le analisi in situ di Osiris-Rex consentiranno – e successivamente anche quelle qui sulla Terra, grazie ai campioni raccolti – permetterà di migliorare di 60 volte le previsioni della traiettoria di Bennu.