I brillamenti stellari sono una delle manifestazioni (la più energetica insieme alle espulsioni di massa coronali) dell’attività magnetica delle stelle. Molte stelle, e in modo particolare quelle di piccola massa, producono un loro campo magnetico che, interagendo con il plasma della stella, dà vita a fenomeni come le macchie fotosferiche, faculae, protuberanze, oltre ai già citati brillamenti stellari ed espulsioni di massa coronali. Tutti questi fenomeni sono di grande interesse per l’astrofisica in quanto permettono di studiare come campi magnetici intensi interagiscono con plasma ad alte temperature, e possono rivelare informazioni importanti sulla struttura interna delle stelle.
Il Sole è l’unica stella, data la sua vicinanza, in cui possiamo risolvere questi fenomeni spazialmente. In tutte le altre stelle possiamo solamente fare analisi nel dominio temporale dell’emissione integrata su varie bande dello spettro elettromagnetico, ossia fare studi di variabilità e analisi delle curve di luce. In particolare, i brillamenti stellari richiedono uno studio multibanda, in quanto caratterizzati da fenomeni interconnessi tra di loro che avvengono in diverse regioni della stella e sono caratterizzati da emissione in diverse bande. I brillamenti si innescano a seguito del rilascio di energia immagazzinata dal campo magnetico nell’atmosfera stellare, che causa la fase di pre-brillamento, caratterizzata da emissione di raggi X energetici (con energia superiore ad alcuni keV) e durante la quale il plasma in fotosfera è riscaldato, cominciando a evaporare in corona. Questa fase è strettamente associata ad emissione infrarossa, ottica e ultravioletta, ed è seguita dal brillamento in corona, dove il plasma in evaporazione riempie gli archi coronali formati dal campo magnetico, raggiungendo temperature di diversi milioni di gradi ed emettendo raggi X.
Le stelle giovani – poche milioni di anni – sono tra gli oggetti dove i fenomeni magnetici vengono osservati e studiati più di frequente. L’attività magnetica delle stelle, infatti, decresce con la loro rotazione, che a sua volta decresce con l’età delle stelle. Per questo motivo, l’energia e la frequenza con cui osserviamo i brillamenti nelle stelle di pre-sequenza sono centinaia, migliaia di volte maggiori che nelle stelle più vecchie – com’è per esempio il nostro Sole. Gli ammassi stellari giovani, inoltre, offrono ricchi campioni stellari racchiusi in regioni limitate dello spazio, facilmente osservabili con strumenti con campi di vista limitati.
L’articolo “A multi-wavelength view of magnetic flaring from PMS stars” – recentemente pubblicato su Astronomy & Astrophysics e parte del progetto Coordinated Synoptic Investigation of Ngc 2264 – è uno dei rari studi su brillamenti stellari in stelle giovani (in questo caso le stelle associate a Ngc 2264, un ammasso con un’età di 2-3 milioni di anni) osservati simultaneamente in più bande dello spettro elettromagnetico. Gli autori hanno analizzato 68 brillamenti avvenuti in 65 stelle, osservati ai raggi X (con Chandra) e simultaneamente in ottico (con CoRoT) e in infrarosso (con Spitzer), potendo confrontare l’energia emessa in varie bande durante le diverse fasi dei brillamenti.
Questo ha permesso di trovare, ad esempio, una forte correlazione tra l’energia emessa in ottico dal brillamento in fotosfera/cromosfera e quella emessa ai raggi X dal brillamento in corona. L’emissione ai raggi infrarossi, inoltre, sembra essere dipendente dalla presenza attorno le stelle di dischi protoplanetari (le strutture a disco che caratterizzano le stelle giovani e che possono evolvere in sistemi planetari), con una maggiore energia emessa durante i brillamenti in infrarosso dalle stelle con disco che dalle stelle senza disco. Questo è probabilmente dovuta alla radiazione del brillamento assorbita dalle polveri del disco e riprocessata in infrarosso. Questo risultato suggerisce che i brillamenti nelle stelle giovani possono incidere sulle prime fasi del processo di formazione planetaria.
«Lavori teorici hanno da tempo indicato come la radiazione della stella al centro di un disco protoplanetario giochi un ruolo importante nel determinare le proprietà fisiche di questo’ultimo», spiega a Media Inaf il primo autore dello studio, Ettore Flaccomio, ricercatore all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Palermo. «La temperatura delle polveri nella parte interna del disco è fortemente influenzata dall’assorbimento della radiazione stellare. Inoltre, l’emissione ad alta energia della stella influenza alcune proprietà fisiche fondamentali, come lo stato di ionizzazione e la temperatura della sua componente gassosa, e quindi i processi chimici che hanno luogo. Comprendere il processo di formazione planetaria in questi sistemi, e quindi anche nel Sistema solare, richiede che l’interazione stella-disco sia ben caratterizzata. L’osservazione diretta della reazione di un disco protoplanetario a una rapida variazione di flusso stellare, sia nell’ottico che nei raggi X, come fatto nel nostro lavoro, può fornire utili riscontri ai lavori teorici».