Quando il vento solare, un flusso di particelle cariche molto energetiche e accelerate emesse continuamente dal Sole, si scontra con la ionosfera di comete orbitanti attorno al Sole, si forma un’onda d’urto a forma arcuata – bow shock in inglese. È un po’ come l’onda che si forma a prua di una nave mentre questa solca il mare. Già conoscevamo bene quello che avviene quando la corrente di plasma emanata dal Sole, col vento solare appunto, si scontra con il campo magnetico terrestre, dando origine a una linea di confine di circa 100-1000 km di spessore che si trova a circa 90mila km dalla superficie del nostro pianeta. Ora sappiamo anche cosa succede quando una simile onda d’urto si forma attorno alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko: un gruppo di ricercatori, utilizzando i dati prodotti dalla sonda Rosetta, è riuscito a rilevare – proprio mentre prendeva forma, ed è la prima volta – l’onda d’urto prodotta dal vento solare che va a scontrarsi contro le nubi di gas e le particelle cariche presenti nei dintorni della cometa.
Rosetta ha cercato segni di tali onde d’urto nei due anni di missione compresi tra il 2014 al 2016, avventurandosi a più di 1500 km di distanza dal centro della cometa, alla ricerca del confine nel quale l’onda d’urto si può essere prodotta. Senza, però, aver trovato nulla – o meglio, così sembrava. «Abbiamo cercato una classica onda d’urto in una parte di spazio nella quale ci aspettavamo di trovarla, lontano dal nucleo della cometa, ma non ce n’era traccia. Siamo così giunti alla conclusione che Rosetta non fosse riuscita a individuarne alcuna», ricorda Herbert Gunnel del Royal Belgian Institute for Space Aeronomy, in Belgio, e dell’Umea University, in Svezia, uno dei due scienziati che hanno guidato lo studio e primo autore dell’articolo.
Ma a ben guardare sembra proprio che Rosetta un’onda d’urto l’abbia in realtà osservata: un’onda d’urto neonata, in formazione. È emersa, circa 50 volte più vicino al nucleo della cometa di quanto previsto, da una nuova analisi dei dati prodotti da una suite di strumenti che comprende cinque diversi sensori per studiare il plasma circostante la cometa 67P a bordo della sonda. Per l’esattezza, ne sono state osservate due: una cominciava a formarsi quando la cometa si avvicinava al perielio – si dirigeva cioè verso il punto della sua orbita più vicino alla nostra stella, analizzando i dati del 7 marzo 2015 – e un’altra, all’afelio, il 24 febbraio 2016.
«La prima fase dello sviluppo di un’onda d’urto attorno a una cometa non era mai stata “osservata” prima di Rosetta», dice Charlotte Goetz dell’Istituto di geofisica e fisica extraterrestre di Braunschweig, in Germania, e co-autore dell’articolo. «L’onda d’urto neonata che abbiamo individuato nei dati del 2015 si sarebbe successivamente evoluta fino a diventare un’onda d’urto completamente sviluppata mentre la cometa si avvicinava al Sole e diventava più attiva – non l’abbiamo vista nei dati prodotti da Rosetta perché la sonda era in quel momento troppo vicino alla cometa per rilevare l’onda d’urto ‘adulta’. Quando Rosetta l’ha intercettata di nuovo, nel 2016, la cometa stava allontanandosi dal Sole, quindi l’onda che abbiamo visto era nello stesso stato, ma in dissolvenza piuttosto che in formazione.
Grazie a questi studi è stato possibile inoltre osservare come – quando l’onda d’urto in formazione ha attraversato Rosetta – il debole campo magnetico della cometa fosse diventato più intenso e più turbolento, con esplosioni di particelle altamente energetiche che sono state prodotte e riscaldate nella stessa regione di spazio. Prima dello shock dell’onda d’urto, le particelle sono state spostate più lentamente e il vento solare era più debole, il che suggerisce che Rosetta si trovasse “a monte” dell’onda d’urto. «Queste osservazioni sono le prime di un’onda d’urto prima che si formi completamente», sottolinea Matt Taylor, dell’Esa. «Questa scoperta evidenzia quanto sia efficace combinare misurazioni e simulazioni multi-strumento. Potrebbe non essere possibile risolvere un puzzle usando un solo set di dati, ma quando si mettono insieme più indizi, come in questo studio, l’immagine può diventare più chiara e offrire una visione reale delle complesse dinamiche del nostro Sistema solare – e degli oggetti in esso contenuti, come la cometa 67P».
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “The infant bow shock: a new frontier at a weak activity comet“, Herbert Gunell, Charlotte Goetz, Cyril Simon Wedlund, Jesper Lindkvist, Maria Hamrin, Hans Nilsson, Kristie Llera, Anders Eriksson e Mats Holmström