DALLA GROENLANDIA AL POLO SUD

A Science l’astrofisica piace “on the rocks”

È un’astronomia sottozero quella che ha stregato la giuria della rivista statunitense: nella sua top ten delle scoperte breakthrough 2018 sono riusciti a entrare il cratere groenlandese Hiawatha e – terzo fra le preferenze del pubblico – il neutrino cosmico intercettato da IceCube in Antartide

     20/12/2018

La copertina del numero di Science dedicato ai Breakthrough 2018

Strutture molecolari, analisi genetiche, sviluppo cellulare… la parte del leone, nella top ten delle scoperte scelte da Science per l’anno che si chiude, va al mondo dell’estremamente piccolo. A partire dal risultato breakthrough che si aggiudica il posto più alto del podio: un metodo per seguire – come fosse un film – l’evoluzione delle singole cellule durante le fasi di sviluppo dell’embrione.

Ma una fetta dell’ambita torta va anche all’astronomia. Anzi, due. Le due fette più fredde. Una riguarda l’enorme cratere di Hiawatha – misura più di 31 chilometri di diametro – individuato sotto i ghiacci della Terra di Inglefield, nel nord della Groenlandia. A produrlo sarebbe stato una meteorite ferrosa da circa un chilometro di diametro che avrebbe colpito la Terra in epoca relativamente recente, forse appena 13mila anni fa. L’interesse della scoperta sta soprattutto nelle sue implicazioni per la paleoclimatologia e per la ricostruzione delle cause del cosiddetto Dryas recente – una breve era glaciale risalente, appunto, a circa 12-13mila anni fa.

Fonte: Science. Crediti: Nasa Scientific Visualization Studio

«Nel cratere di Hiawatha», ricorda Giovanni Valsecchi dell’Inaf di Roma, «sono state trovate, in passato, delle grandi meteoriti metalliche, mentre i sostenitori dell’impatto cosmico come causa del cambiamento climatico del Dryas recente hanno sempre parlato di un impatto cometario, difficile da riconciliare con meteoriti metalliche. Perciò, anche se il cratere si rivelerà contemporaneo a Dryas recente, resterà comunque non poco lavoro da fare per ricostruire cosa sia accaduto realmente, e attraverso quali meccanismi si sia innescato quel periodo di raffreddamento globale del nostro pianeta».

E sempre dalle profondità dei ghiacci – questa volta del Polo Sud, però – è emerso anche il secondo protagonista astrofisico dei Breakthrough 2018. O meglio, i bagliori azzurrognoli che si è lasciato alle spalle. Perché “lui” arriva da molto lontano: è un neutrino ad altissima energia partito miliardi di anni fa da una remota galassia – da un blazar, per la precisione – per finire imbrigliato fra i ghiacci antartici dell’esperimento IceCube il 22 settembre 2017. Un neutrino diventato celebre perché, per la prima volta, quasi contemporaneamente alla rivelazione del suo passaggio, alcuni telescopi dallo spazio e da terra hanno avvistato un altro bagliore – questa volta in cielo: quello della sorgente che lo ha generato. Rendendolo così il primo evento multimessaggero neutrino-fotone della storia.

Crediti: Jamie Yang / IceCube Collaboration

Una scoperta, questa del neutrino cosmico di IceCube, che potrà aiutarci a comprendere qualcosa di più anche sugli enigmatici raggi cosmici. «L’osservazione di un neutrino a centinaia di TeV è particolarmente importante, per vari motivi. In primo luogo», spiega a Media Inaf Niccolò Bucciantini, ricercatore all’Osservatorio astrofisico dell’Inaf di Arcetri, «i neutrini, essendo neutri, si propagano in linea retta nell’universo, puntando direttamente alla sorgente, a differenza dei raggi cosmici, che essendo carichi interagiscono con i campi magnetici e di fatto hanno un cammino random, perdendo l’informazione sull’origine. In secondo luogo, neutrini a 100 TeV possono essere prodotti solo da processi che coinvolgono protoni a energie del PeV [un milione di miliardi di elettron volt, ndr], per cui la loro osservazione è la prova diretta che esistono meccanismi astrofisici in grado di accelerare i protoni a quell’energia. Queste due proprietà, insieme all’osservazione di IceCube, permettono di dimostrare per la prima volta che all’interno di un oggetto astrofisico – un blazar, in questo caso – sono attivi processi che producono protoni di alta energia».

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