Mentre qui sulla Terra correva il giorno del solstizio invernale, il 21 dicembre, quello con la notte più lunga dell’anno, là attorno a Giove la sonda Juno della Nasa assisteva in diretta a uno spettacolo che è difficile anche solo immaginare: un’eruzione vulcanica sulla luna Io. Un fenomeno al tempo stesso raro e frequente. Raro perché, nell’intero Sistema solare, sono solo cinque i corpi sui quali si ritiene esservi attività vulcanica: oltre che sulla Terra, è stata osservata su Venere, probabilmente sulla luna di Saturno Encelado e sulla luna di Nettuno Tritone, e certamente su Io, appunto. Frequente perché, fra i cinque, Io è il corpo vulcanicamente più attivo. Ma ciò che è riuscita a fare Juno fra le 13 e le 14 ora italiana del 21 dicembre scorso è qualcosa di unico: ha fotografato un’eruzione in corso con ben quattro dei suoi strumenti: la JunoCam, la Stellar Reference Unit (Sru), l’Ultraviolet Imaging Spectrograph (Uvs) e la Jovian Infrared Auroral Mapper (Jiram) – uno strumento, quest’ultimo, a guida italiana.
Partiamo dunque proprio da Jiram, che essendo sensibile ai raggi infrarossi – e dunque al calore – è in grado di acquisire immagini sia di giorno che di notte. «Sebbene le lune di Giove non siano gli obiettivi primari di Jiram, ogni volta che passiamo vicino a una di esse ne approfittiamo per compiere osservazioni», dice Alberto Adriani, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma e responsabile di Jiram. «Lo strumento è sensibile alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, che sono perfette per studiare il vulcanismo di Io. Questa è una delle migliori immagini di Io che Jiram sia stata in grado di raccogliere fino a oggi».
Al contrario di Jiram, che non ha problemi a vedere sia al buio che alla luce, JunoCam e Sru sono strumenti che richiedono condizioni d’illuminazione ben precise. Ma quasi opposte l’uno rispetto all’altro. JunoCam, la fotocamera in luce visibile, è fra tutti gli strumenti di Juno il più simile a una normale macchina fotografica: per uno scatto nitido il soggetto dev’essere in piena luce. Alle 13:00, 13:15 e 13:20 del 21 dicembre, quando ha scattato le sue fotografie, la luna Io stava giusto entrando nel cono d’ombra di Giove, ma era ancora ben illuminata dal Sole: la vediamo nell’immagine qui a fianco, ripresa da circa 300mila km di distanza. Appena al di là della linea del terminatore – il confine tra l’emisfero diurno e quello notturno – è possibile riconoscere il pennacchio del vulcano in attività. «Il vulcano è già in ombra, ma l’altezza del pennacchio è tale da fargli riflettere la luce del Sole, un po’ come qui, sulla Terra, vediamo le cime delle montagne, o le nuvole, ancora illuminate anche dopo il tramonto», spiega Candice Hansen-Koharcheck, del Planetary Science Institute, responsabile della JunoCam.
Ma l’immagine più incredibile, quanto a condizioni di luce, è quella scattata alle 13:40 ora italiana da Sru. La Stellar Reference Unit è infatti uno strumento con uno scopo completamente diverso dalle altre fotocamere: non è stato progettato per osservare Giove o le sue lune, bensì per lo star tracking. Dunque è in grado di funzionare solo al buio, o quasi. E proprio questa sua sensibilità a una luce estremamente debole gli ha permesso di immortalare Io – e il suo vulcano attivo – mentre era già nel cono d’ombra di Giove, illuminata soltanto dalla luce riflessa da un’altra luna del gigante gassoso: quella di Europa. Insomma, una foto al chiaro di luna.
«Sapevamo che avremmo inaugurato nuove strade con una campagna multispettrale per l’osservazione della regione polare di Io, ma nessuno si aspettava che saremmo stati così fortunati da vedere un pennacchio vulcanico attivo sparare materiale dalla superficie della luna», conclude Scott Bolton del Southwest Research Institute, principal investigator della missione Juno. «È un bel regalo di Capodanno, e ci conferma come Juno abbia la capacità di vedere chiaramente i pennacchi».