Avvalendosi dei dati raccolti dagli accelerometri e dai giroscopi (strumenti le cui potenzialità – anche senza saperlo – sfruttiamo quotidianamente con i nostri smartphone) presenti a bordo del rover Curiosity, un team di ricercatori ha analizzato la forza di gravità presente in centinaia di punti lungo il percorso compiuto dal robot Nasa mentre attraversava il Cratere Gale, su Marte, dirigendosi verso Mount Sharp. I dati erano inizialmente destinati a scopi non tanto scientifici quanto “ingegneristici”, in particolare per la navigazione del rover. Ma elaborandoli in modo opportuno gli scienziati sono riusciti a ottenere da essi indizi inediti sugli strati di roccia – e in particolare sulla loro densità – che formano il Cratere Gale. Riuscendo così a scoprire che le rocce in questa zona del Pianeta rosso sono molto porose, probabilmente perché sono state compresse meno del previsto dalla forza di gravità che agisce sulla superficie di Marte. I risultati sono pubblicati oggi su Science.
Basandosi sui dati raccolti negli anni dagli strumenti per le misure di tipo chimico e di mineralogia, le stime prevedevano una densità di 2810 chili per metro cubo. Dallo studio compiuto attraverso le misure di gravità è invece emerso che la densità è assai più bassa, attorno ai 1680 chili per metro cubo: segno di un elevato livello di porosità delle rocce analizzate.
Curiosity non è dotato di un vero e proprio strumento dedicato allo studio della gravimetria, ed è quindi solo sfruttando – come dicevamo – gli accelerometri a bordo del rover che gli esperti hanno potuto misurare la spinta gravitazionale, campionata in 700 punti lungo il percorso compiuto dal robot Nasa nell’arco di cinque anni. Dai dati si evince che le rocce nella parte bassa del Monte Sharp sono sorprendentemente più porose del previsto, dunque non sono state “sepolte” da quantità enormi di materiale stratificato come si è sempre pensato.
Per saperne di più:
- Leggi su Science lo studio “A surface gravity traverse on Mars indicates low bedrock density at Gale crater“, di Kevin W. Lewis et al.