La firma sulla scoperta è sempre la stessa, ed è quella di Mark Showalter, astronomo del Seti Institute a Mountain View, in California, e instancabile cacciatore di satelliti naturali attorno ai corpi più remoti del Sistema solare. La firma è sempre la stessa, dicevamo, e l’oggetto pure: già, perché quello descritto sul numero odierno di Nature è lo stesso oggetto che già Showalter e colleghi avevano scoperto nel 2013, sempre passando al setaccio i dati di Hubble. Allora lo avevano chiamato S/2004 N 1. Ora, con la conferma e nuove caratteristiche fisiche, arriva anche un nome più consono per quella che è a tutti gli effetti la quattrordicesima luna di Nettuno: Ippocampo. La settima luna interna rispetto all’orbita di quella che è di gran lunga la più grande dell’intero sistema, Tritone.
Ippocampo, dunque. Eccone un rapido identikit: 34 km di diametro medio, dunque la più piccola fra le lune interne. Raggio dell’orbita – o meglio, semiasse maggiore, trattandosi di un’ellisse – poco più di 105mila km, dunque la prima che si incontra all’interno dell’orbita della seconda luna più grande, Proteo. E periodo orbitale, poco meno di un giorno.
A differenza di molte lune remote del Sistema solare, la scoperta di Ippocampo non è avvenuta per caso. O per serendipity, come si dice ora. È l’esito di una caccia serrata nei dati di Hubble da parte del team guidato da Showalter. Non solo. Una volta individuata la potenziale preda, per caratterizzarla al meglio – e con un oggetto da 34 km a miliardi di km di distanza non è un compito semplice – i ricercatori hanno dovuto far ricorso a uno stratagemma: lo stacking. Semplificando un po’, hanno sovrapposto più immagini spostandole però l’una rispetto all’altra in base all’orbita calcolata per la luna, come per “inseguirla” a posteriori. Ottenendo così, da fotografie con poche centinaia di secondi d’esposizione ciascuna, un’unica immagine con un tempo d’esposizione virtuale assai maggiore, fino a 37 minuti.
L’aspetto che più sembra aver catturato l’interesse del team, però, è quello che riguarda il meccanismo di formazione della nuova luna. La relativa prossimità a Proteo (le due orbite distano 12mila km) e la presenza, su Proteo, di un grande cratere da impatto (Pharos), suggeriscono la possibilità che Ippocampo – il cui volume è appena il due per cento di quello del cratere di Proteo – abbia preso forma proprio dai detriti seguiti a quell’impatto.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “The seventh inner moon of Neptune”, di M. R. Showalter, I. de Pater, J. J. Lissauer e r. S. French