LO STUDIO È PUBBLICATO SU NATURE

Ecco Ippocampo, la nuova luna di Nettuno

Già individuata nei dati raccolti da Hubble fra il 2003 e il 2009, e inizialmente battezzata S/2004 N 1, i risultati ottenuti dall’analisi della nuova luna di Nettuno suggeriscono che sia probabilmente un antico frammento di un’altra luna, Proteo. E rafforzano l’ipotesi secondo la quale il sistema interno di Nettuno è stato modellato da numerosi impatti

     20/02/2019

Il diagramma mostra le orbite delle lune più vicine al pianeta Nettuno, tutte scoperte nel 1989 dalla sonda Voyager 2, tra cui si colloca quella della nuova luna scoperta grazie alle osservazione di Hubble. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (STScI)

La firma sulla scoperta è sempre la stessa, ed è quella di Mark Showalter, astronomo del Seti Institute a Mountain View, in California, e instancabile cacciatore di satelliti naturali attorno ai corpi più remoti del Sistema solare. La firma è sempre la stessa, dicevamo, e l’oggetto pure: già, perché quello descritto sul numero odierno di Nature è lo stesso oggetto che già Showalter e colleghi avevano scoperto nel 2013, sempre passando al setaccio i dati di Hubble. Allora lo avevano chiamato S/2004 N 1. Ora, con la conferma e nuove caratteristiche fisiche, arriva anche un nome più consono per quella che è a tutti gli effetti la quattrordicesima luna di Nettuno: Ippocampo. La settima luna interna rispetto all’orbita di quella che è di gran lunga la più grande dell’intero sistema, Tritone.

Ippocampo, dunque. Eccone un rapido identikit: 34 km di diametro medio, dunque la più piccola fra le lune interne. Raggio dell’orbita – o meglio, semiasse maggiore, trattandosi di un’ellisse – poco più di 105mila km, dunque la prima che si incontra all’interno dell’orbita della seconda luna più grande, Proteo. E periodo orbitale, poco meno di un giorno.

Le sette lune interne a confronto. Crediti: Mark R. Showalter, Seti Institute

A differenza di molte lune remote del Sistema solare, la scoperta di Ippocampo non è avvenuta per caso. O per serendipity, come si dice ora. È l’esito di una caccia serrata nei dati di Hubble da parte del team guidato da Showalter. Non solo. Una volta individuata la potenziale preda, per caratterizzarla al meglio – e con un oggetto da 34 km a miliardi di km di distanza non è un compito semplice – i ricercatori hanno dovuto far ricorso a uno stratagemma: lo stacking. Semplificando un po’, hanno sovrapposto più immagini spostandole però l’una rispetto all’altra in base all’orbita calcolata per la luna, come per “inseguirla” a posteriori. Ottenendo così, da fotografie con poche centinaia di secondi d’esposizione ciascuna, un’unica immagine con un tempo d’esposizione virtuale assai maggiore, fino a 37 minuti.

L’aspetto che più sembra aver catturato l’interesse del team, però, è quello che riguarda il meccanismo di formazione della nuova luna. La relativa prossimità a Proteo (le due orbite distano 12mila km) e la presenza, su Proteo, di un grande cratere da impatto (Pharos), suggeriscono la possibilità che Ippocampo – il cui volume è appena il due per cento di quello del cratere di Proteo – abbia preso forma proprio dai detriti seguiti a quell’impatto.

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