È una fra le manovre spaziali più avventurose mai tentate, ed è in corso in queste ore: all’alba di oggi 21 febbraio, attorno alle 5 ora italiana, la sonda Hayabusa2 ha lasciato la “casa madre” – a 20 km dalla superficie di Ryugu – per dare inizio alla sua discesa verso la superficie dell’asteroide. Questa volta non è una prova: l’obiettivo è arrivarci, raggiungerlo fino quasi a sfiorarlo, e raccoglierne alcuni campioni da riportare poi sulla Terra.
La discesa è lentissima: meno di un metro al secondo nella fase iniziale, 10 cm al secondo in quella finale. E durerà circa un giorno: l’approdo è previsto per le 00:15 ora italiana della notte fra oggi e domani. Se tutto andrà come da programma. Le incognite sono infatti numerose, com’è inevitabile per una manovra d’attracco su un asteroide che si trova attualmente a oltre 340 milioni di km dalla Terra. Le due principali: ci sono rocce un po’ ovunque, e il terreno potrebbe essere troppo duro per consentire la raccolta di materiale.
Ma se c’è un team che si è mostrato in grado di gestire con creatività e sangue freddo gli imprevisti è quello di Hayabusa2. Al punto che il mission manager della missione, Makoto Yoshikawa, è stato inserito da Nature nella top ten degli scienziati del 2018 proprio per la sua leggendaria abilità nell’affrontare i fuori programma più critici. A differenza della maggior parte delle missioni Nasa ed Esa, sempre pianificate nei minimi dettagli, questa di Hayabusa2 dà l’impressione di aver volutamente lasciato aperte più possibilità. Meno programmata, forse, ma anche meno rigida. Non si tratta di improvvisazione, al contrario: è proprio una diversa strategia. La manovra in corso oggi, per dire, è stata provata e riprovata sul posto, con vere e proprie esercitazioni, permettendo ai tecnici della missione di scoprire potenziali fonti di problemi – come la bassa riflettività e l’estrema durezza del suolo – e di mettere a punto strategie per aggirarli.
La stessa ridondanza di numerose componenti della missione rientra in questo approccio: una coppia di piccoli jumpers e un lander hanno preceduto la sonda in questa discesa, e la stessa Hayabusa2 ha in programma di tentare non una, non due, bensì tre touchdown per la raccolta di campioni. Quello di oggi è solo il primo. Forse. Se infatti la raccolta dovesse rivelarsi a posteriori troppo rischiosa, al punto da portare il team a valutare che successivi tentativi potrebbero mettere a repentaglio l’intera missione, la Jaxa potrebbe anche decidere che un solo “raccolto” è sufficiente, e inviare verso la Terra quello piuttosto che rischiare di non poter mandare nulla.
«D’altronde l’obiettivo primario della missione è portare materiale dell’asteroide sulla Terra. Riuscire a raccoglierne da più siti è auspicabile, ma rimane un obiettivo secondario, dunque se il rischio si rivelasse troppo alto sarebbe ragionevole decidere di non correrlo una seconda volta», spiega a Media Inaf Ernesto Palomba, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma e membro della missione Hayabusa2.
Per farsi un’idea della complessità della manovra, basta un’occhiata all’immagine qui a fianco, diffusa dalla Jaxa due settimane fa. Il cerchio in alto a sinistra mostra il punto di approdo prescelto. Le dimensioni della sonda, in scala, sono riportate in basso a sinistra. Sono rappresentate anche le rocce affioranti, cerchiate in rosa, e come si può vedere lo spazio di manovra è alquanto ristretto, la tolleranza è minima. La safe zone è il poligono in rosso, e Hayabusa2 deve raggiungerla in completa autonomia, visto che i telecomandi impiegano ben 19 minuti per coprire, alla velocità della luce, lo spazio che ci separa dalla sonda.
The surface of Ryugu was not what we expected. So our sampler team had to conduct an experiment to check we could still gather material from the asteroid surface when we attempt #haya2_TD touchdown this Friday! https://t.co/bCzvW2gwSr pic.twitter.com/XxJXETKB6N
— HAYABUSA2@JAXA (@haya2e_jaxa) February 18, 2019
Da brivido, poi, il meccanismo di raccolta, simulato in laboratorio nei giorni scorsi (vedi il video nel tweet qui sopra). Ecco come avverrà. La sonda è dotata sul suo lato inferiore di una sorta di tubo (horn) lungo circa un metro che, come la proboscide di un’ape posata su un fiore, arriverà a sfiorare il suolo dell’asteroide. A questo punto, verrà sparato – alla velocità di 300 m/s, circa 1000 km/h – un minuscolo proiettile di tantalio da 5 grammi. L’impatto con il suolo dovrebbe sollevare una piccola nube di materiale che, complice la bassissima gravità, salirà lungo il tubo per poi depositarsi in una delle camere di raccolta, grande 25 cm cubici.
Ma nemmeno a questo punto gli scienziati potranno tirare un sospiro di sollievo. Non sarà infatti possibile sapere quanto materiale è stato raccolto fino a quando il “pacco” non verrà recapitato sulla Terra: suspense garantita fino alla fine del 2020, dunque.
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