La tempesta di sabbia che ha avvolto Marte per mesi ha fatto una vittima illustre. Il rover Nasa Opportunity, vero veterano dell’esplorazione del pianeta rosso, non si è più risvegliato dallo stato di ibernazione forzata nella quale era caduto per mancanza di energia. A causa della polvere, che aveva reso opaca l’atmosfera marziana, i suoi pannelli solari non ricevevano più abbastanza insolazione per garantire il minimo livello richiesto dalla sonda per operare. In questi casi, solo l’orologio di bordo avrebbe dovuto continuare a funzionare, per ricordare alla sonda di chiamare casa, appena le condizioni fossero migliorate e le batterie fossero tornate ad un livello tale da permettere al rover di riprendere l’attività. Era successo nel 2007, in occasione di un’altra tempesta di sabbia che però si era esaurita in poche settimane. Si tratta di eventi che fanno parte della meteorologia marziana, ma, nel giugno dell’anno scorso, si era capito che si stava preparando un evento di dimensioni planetarie. Dopo aver mandato foto di un cielo sempre più oscurato, il rover si è chiuso in un forzato silenzio perché si era dovuto mettere in modalità di risparmio energetico. Anche la sonda Curiosity, in tutt’altra parte del pianeta, rivelava la presenza di sabbia nell’atmosfera, ma continuava a lavorare perché, grazie al suo generatore nucleare, può funzionare indipendentemente dai capricci del tempo.
I satelliti in orbita hanno mandato foto impressionanti. Una bella frazione della superficie del pianeta era interessata da quello che si presentava come un fenomeno di proporzioni epiche e che è durato per mesi.
Nel frattempo il povero Opportunity deve avere avuto molto freddo perché senza l’energia dei pannelli solari non ha potuto scaldare la sua strumentazione e l’ultima misura che aveva inviato dava un bel -29°C. Con venti a 100 km all’ora, il rover non correva il rischio di essere sepolto dalla sabbia, solo quello di congelare.
Una volta che la tempesta si è calmata, al Jpl (Jet Propulsion Laboratory) hanno iniziato a chiamare la sonda. È la procedura standard in questi casi. Davanti al silenzio marziano, hanno pensato che forse i pannelli erano stati coperti dalla sabbia che impediva loro di funzionare. Anche questo era già successo nella lunga vita del robottino e l’esperienza aveva insegnato che occorreva avere un po’ di pazienza. I dust devil (piccoli tornado di polvere), che si sviluppano naturalmente sulla superficie di Marte durante i cambi di stagione, avevano già pulito diverse volte i pannelli solari impolverati di Opportunity. I tecnici hanno deciso di continuare a chiamare la sonda nella speranza del passaggio di un diavoletto di sabbia provvidenziale.
Terminata la stagione propizia per le spolverate, e dopo mille tentativi di chiamata, si sono dovuti arrendere e hanno dichiarato la fine dell’avventura di Opportunity. Le parole scelte dal responsabile delle missioni planetarie della Nasa sono state quelle che si usano per salutare un vecchio amico che ci ha lasciato. Esprimevano tristezza per la perdita unita a profonda soddisfazione per il successo straordinario della missione che ha battuto tutti i record di durata. Ammartata nel gennaio 2004, pochi giorni dopo la sonda gemella Spirit, ha aperto un nuovo capitolo nello studio in situ della superficie marziana.
Le sonde erano state progettate per durare 90 giorni, ma la loro vita è stata straordinariamente più lunga, anche grazie alla spolverate dei diavoletti. Mentre Spirit ha smesso di rispondere nel 2010, e la sua missione è stata dichiarata conclusa nel 2011, Opportunity ha continuato la sua esplorazione arrivando a oltre 5000 giorni di attività durante i quali ha percorso 45 km sulla superficie marziana fornendo prove convincenti della passata presenza di acqua liquida sul pianeta che oggi è brullo e inospitale. Ha finito la sua carriera mentre stava esplorando la valle della Perseveranza, il luogo giusto per terminare una missione storica.
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