Giunte alla fine della loro vita, circa il 95 per cento delle stelle di massa piccola e intermedia si evolve in giganti rosse, che infine muoiono perdendo la loro massa, seminata nel mezzo interstellare attraverso il vento stellare: un supervento – così lo chiamano gli addetti ai lavori – prodotto dalla pressione di radiazione. Pressione esercitata dalla quantità di moto della luce, che lascia la stella morente, sulla polvere che si condensa nell’alta atmosfera della stella. E che spazza via tutta la materia di cui è costituita, lasciando alla fine molecole di gas ionizzato con una nana bianca al centro: le cosiddette nebulose planetarie. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Un processo di morte stellare nel quale il supervento gioca un ruolo chiave, così come proposto già da Alvio Renzini in un modello del 1981. Modello che tuttavia ha sempre sollevato dubbi nella comunità scientifica: il motivo sarebbe una perdita di massa della stella morente troppo veloce per essere spiegata da un supervento dalla durata troppo breve perché questa diventi una nana bianca. Dubbi che sembrano ora essere stati risolti da un team di ricercatori di 14 istituzioni scientifiche a seguito di uno studio i cui risultati sono stati pubblicati ieri sulla rivista Nature Astronomy. Una nuova ricerca che offrirebbe una spiegazione alternativa all’elevato tasso di perdita di massa che interessa le più massicce stelle giganti e che spiega il loro fine vita.
Hanno utilizzato le antenne di Alma (l’Atacama Large Millimetre/Submillimetre Array), nel deserto di Atacama, in Cile: l’osservatorio che poteva fornire loro informazioni più dettagliate circa il coinvolgimento di questo impetuoso vento stellare nell’ultima fase di vita di queste stelle. Osservando, in particolare, due stelle giganti rosse: OH 26.5+0.6 e OH 30.1−0.7, gli studiosi hanno rilevato, innanzi tutto, l’esistenza di stelle compagne delle giganti rosse impegnate in una interazione binaria che non era mai stata notata prima dalla comunità scientifica. Un sistema binario dedotto dalla forma a spirale della stella morente plasmata dalla presenza della seconda stella.
Una stella compagna che orbita attorno alla gigante rossa e che determina nella prima la struttura a spirale osservata dai ricercatori. «I dati mostrano una struttura a spirale che indica che queste stelle non sono isolate, ma hanno una stella compagna, l’interazione con la quale da origine a una morfologia piuttosto complessa, nella forma di una spirale incompleta. I dati precedenti mancavano della risoluzione spaziale e della sensibilità di Alma e non permettevano agli astronomi di trovare le caratteristiche associate a una stella binaria», spiega Anibal García Hernández, ricercatore all’Istituto di astrofisica delle Canarie (Iac) e coautore dell’articolo.
Ma non è finita qui. Grazie a simulazioni idrodinamiche, lo studio mostra anche che queste stelle perdono massa a un ritmo molto più lento di quanto si pensasse in precedenza. Il supervento stellare – che si credeva responsabile dello svuotamento di materia, e dunque della morte della stella – non sarebbe un supervento reale prodotto dalla stella isolata, così come proponeva il modello, ma, almeno in questo caso, un vento prodotto dall’attrazione gravitazionale che la compagna esercita sulla gigante rossa a fine vita e che niente avrebbe a che fare con la sua morte.
Il fatto che la perdita di massa di questa stella gigante fosse in realtà più lento del previsto ha un impatto rilevante sulla comprensione di come le stelle finiscano la loro vita. A seguito di questo, dunque, gli autori hanno trovato che la stella gigante necessita di più tempo di quanto fino a ora si credeva per espellere il suo contenuto interno ricco di elementi chimici – prodotti durante la nucleosintesi stellare – nell’ambiente circostante. Ciò influisce sull’arricchimento del mezzo interstellare, e quindi sull’evoluzione chimica delle galassie.
L’interpretazione delle osservazioni di Alma e le simulazioni effettuate dimostrerebbero, dunque, che l’ultima fase di queste stelle giunte a fine vita non è caratterizzata da un “supervento estremo” di breve durata, ma piuttosto da un “vento stellare normale” che dura molto più a lungo. In altre parole, le stelle più vecchie vivono più a lungo, ovvero, per utilizzare una massima, sono dure a morire.
«Per lungo tempo abbiamo pensato che queste stelle vivessero da sole», conclude la prima autrice dell’articolo, Leen Decin, delll’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, «ma probabilmente dovremo cambiare questa idea: è probabile che una stella con una compagna binaria sia più comune di quanto pensiamo».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Reduction of the maximum mass-loss rate of OH/IR stars due to unnoticed binary interaction“, di L. Decin, W. Homan et al.