Le ricerche delle cosiddette Wimp (Weakly Interacting Massive Particles) – le presunte particelle di materia oscura restie a interagire con alcunché – che si sono concentrate sul trovare il “segnale di rinculo” delle particelle quando colpiscono il rivelatore non hanno finora fornito alcuna prova della loro esistenza.
Negli anni ’90, alcuni ricercatori proposero un metodo alternativo per la ricerca delle Wimp, basato sull’analisi di rocce antiche, che potrebbero racchiudere la firma della materia oscura sotto forma di tracce di dimensioni nanometriche lasciate sulla roccia dalle passate interazioni con le presunte particelle esotiche. Le ricerche su questi cosiddetti fossili di materia oscura non hanno trovato nulla, ma ora un gruppo di ricerca suggerisce che i progressi fatti nell’analisi dei materiali potrebbero garantire una sensibilità superiore a quella ottenibile con i metodi di ricerca convenzionali. I ricercatori stimano che un centimetro cubo di alcuni minerali provenienti da perforazioni profonde decine di chilometri potrebbe contenere da centinaia a migliaia di tracce indotte dalla materia oscura, attualmente rilevabili attraverso esperimenti di microscopia e di diffusione dei raggi X. Un’impresa del genere, negli anni ’90 sarebbe stata impossibile.
Nell’articolo pubblicato su Physical Review D viene riportata una discussione dettagliata dei paleo-rivelatori, con l’analisi delle proprietà di diversi minerali. I paleo-rivelatori costituiscono un approccio radicalmente diverso al rilevamento diretto a cui mirano gli esperimenti convenzionali: invece di attrezzare, nei laboratori, grandi “masse bersaglio” e andare alla ricerca, in tempo reale, dei rinculi nucleari indotti dalle presunte Wimp, gli autori propongono di esaminare minerali antichi, alla ricerca di tracce di interazioni con le Wimp. La proposta è basata sul principio dei rivelatori di traccia allo stato solido: in alcuni minerali, lo spostamento di un nucleo può lasciare una traccia che, una volta creata, persiste nel materiale su scale temporali geologiche. Poiché i paleo-rivelatori registrano le interazioni tra i nuclei e le Wimp su tempi scala fino a circa un miliardo di anni, la ricostruzione delle tracce in masse relativamente piccole è sufficiente per ottenere esposizioni ordini di grandezza superiori a quelle raggiungibili negli esperimenti convenzionali di rilevamento diretto.
Uno dei principali vantaggi dei paleo-rivelatori, confrontati con gli esperimenti convenzionali di rivelazione diretta, è che le masse bersaglio relativamente piccole possono essere ricavate da profondità molto maggiori rispetto a quelle dei laboratori sotterranei in cui devono essere utilizzati i rivelatori convenzionali, dove pertanto il fondo di raggi cosmici è molto minore.
Quali sono i minerali in cui cercare le tracce lasciate dalle Wimp? I minerali devono essere in grado non solo di registrare le tracce ma anche di preservarle, su scale temporali geologiche. Inoltre, devono essere il più puri possibile da contaminanti radioattivi, per ridurre al minimo il fondo indotto dalla radioattività, che alcuni sostengono essere un grosso problema perché produce tracce sui minerali indistinguibili da quelle eventualmente prodotte dalle Wimps. Nello studio sono state identificate due classi di materiali adatti come paleo-rivelatori: minerali trovati in depositi di evaporiti marine e minerali trovati in rocce ultra-basiche. Entrambi i tipi di minerali sono molto più puri di quelli tipici trovati sulla crosta terrestre.
In linea di principio, utilizzando materiali di diverse età sarebbe possibile ottenere informazioni sulla variabilità temporale dei rinculi nucleari su scale fino a un miliardo di anni. Nel caso delle Wimp, tale approccio consentirebbe studi della sotto-struttura dell’alone di materia oscura della Galassia, visto che l’età del minerale più vecchio disponibile a essere usato come bersaglio è superiore al periodo di rotazione del Sole intorno al centro galattico (circa 230 milioni di anni). La sensibilità e il tempo di esposizione rendono i paleo-rivelatori interessanti per una miriade di altre applicazioni quali, ad esempio, lo studio della variabilità temporale del flusso dei raggi cosmici, dei neutrini provenienti dal Sole o dalle supernove.
Occorreranno studi di fattibilità e test sui minerali per capire se ciò che i ricercatori propongono sia fattibile o meno. Di certo, se lo fosse, sarebbe un bel vantaggio rispetto agli esperimenti tradizionali!
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review D l’articolo “Paleo-detectors: Searching for Dark Matter with Ancient Minerals” di Andrzej K. Drukier, Sebastian Baum, Katherine Freese, Maciej Górski e Patrick Stengel