Mille miliardi di dollari è la stima del valore che, secondo l’agenzia americana Morgan Stanley, avrà la space economy nel 2040. Nel 2017, stando ai dati della Sia (Satellite Industry Association), il fatturato del settore spaziale si attestava intorno ai 350 miliardi di dollari l’anno, di cui 80 non legati all’attività satellitare e provenienti da fonti pubbliche e governi, tutto il resto privato.
Insomma, come osserviamo già da tempo, il trend economico legato alle scienze spaziali è in crescita costante e la space economy rappresenterà una fetta non indifferente di Pil globale. Di conseguenza, gli investimenti, ad esempio per colonie umane o per estrazione mineraria su altri corpi celesti, non potranno essere fatti “alla cieca” ma dovranno basarsi su dati certi e sulla standardizzazione dei modelli giuridici e, ancor prima, ingegneristici da applicare alle scienze spaziali.
Un team di ricercatori della University of Central Florida (Ucf) ha condotto uno studio – “Measuring the fidelity of asteroid regolith and cobble simulants”, pubblicato sulla rivista Icarus – che ha come obbiettivo proprio la simulazione dei suoli extraterrestri, perché, se mai dovessimo riuscire a mettere piede stabilmente su terreni alieni, bisognerà valutare se questi suoli, tra le altre cose, siano stabili e adatti alla colonizzazione.
Phil Metzger, planetologo alla guida del team di ricerca della Ucf, è partito dallo studio di quanto realizzato fino a oggi e dalla constatazione che la mancanza di omogeneità di metodi e di materiali abbiano avuto sinora la meglio sul metodo sperimentale.
Per poter simulare un suolo extraterrestre sono stati finora usati i materiali più svariati, dalle schiume floreali alla sabbia marina, senza che venisse mai messo a punto un vero e proprio standard su cui basare le ricerche successive. Metzger ha dunque lavorato per la creazione di standard di ricerca grazie al lavoro di un laboratorio specializzato chiamato Exolith Lab (dove exo – lith sta per “rocce extraterrestri”) che è un’estensione non profit del Center for Lunar and Asteroid Surface Science (Class), a sua volta ospitato presso la stessa Ucf e diretto da Dan Britt, coautore dello studio di Metzger.
Le possibili superfici extraterrestri sono molteplici (si pensi alla Luna o a Marte), per cui lo studio di Metzger si è focalizzato principalmente sulla creazione di standard relativi alle superfici di una categoria molto ristretta di oggetti celesti: gli asteroidi. L’analisi della loro superficie è avvenuta tramite un passaggio intermedio: lo studio delle meteoriti la cui composizione è spesso coincidente con quella dei “fratelli maggiori”.
Le meteoriti, è bene ricordarlo, sono meteore che sopravvivono all’entrata attraverso l’atmosfera terrestre e atterrano sulla superficie non ancora completamente disintegrate dal calore. Sono spesso correlate a determinati tipi di asteroidi e possono essere usate come materiale di riferimento per la ricerca sugli asteroidi e la loro riproduzione simulata.
Il particolare, lo studio in questione ha studiato Orgueil, meteorite caduta in Francia vicino all’omonima cittadina nel 1864, e piuttosto famosa tra gli addetti ai lavori anche per i dibattiti sulla possibile presenza – poi smentita – di tracce fossili di vita al suo interno. L’analisi dettagliata di Orgueil ha consentito di mettere a punto una serie di parametri standard, come la composizione mineralogica e chimica, la resistenza meccanica, la volatilità, la dimensione delle particelle e altro ancora. Tutte queste caratteristiche sono state la base scientifica su cui poi creare ex novo i “simulanti”, ossia veri e propri materiali artificiali in grado di riprodurre con incredibile fedeltà la composizione del meteorite.
Ma, ci stiamo tutti chiedendo, perché non usare direttamente i meteoriti? Il motivo è la scarsità della risorsa originale. I simulanti, come spiega bene Metzger nello studio, servono proprio a riprodurre in quantità sufficienti materiali altrimenti rarissimi e non riciclabili. I simulanti consentono dunque prove scientifiche e sviluppo tecnologico su grandi quantità di materiale quasi identico rispetto all’originale. Nel caso di Orgueil, ad esempio, si è riusciti a raggiungere un indice di fedeltà (chiamato dagli scienziati anche “cifra di merito”) pari al 96 per cento: un vero motivo di orgueil per i suoi autori.