Alla Nasa se lo chiedono da un po’: che fine hanno fatto le macchie solari? Domanda retorica ma non troppo, visto che – se è vero che si tratta di un fenomeno ampiamente conosciuto e previsto – i periodi di assenza delle macchie sulla superficie del Sole sono più lunghi del solito. Febbraio 2019 è stato infatti un mese da record: nessuna macchia osservata. E il fatto che abbia solo 28 giorni non cambia di molto la questione.
L’Astronomy Picture of the Day di ieri, 6 marzo 2019, proposta dalla Nasa mostra due immagini del Sole prese a sei anni di distanza. Le potete vedere qui a fianco: quella nel riquadro in alto è del 2012, quella nel riquadro in basso è dell’agosto del 2018. Si nota molto bene la differenza tra una fase calda e turbolenta, ricca di macchie solari, e una più tiepida e stabile, in cui le macchie spariscono completamente a favore di un aspetto omogeneo della superficie. Il motivo di queste differenze si chiama ciclo solare: un fenomeno che, nell’arco di circa 11 anni (ma è un lasso di tempo piuttosto variabile) alterna picchi di attività molto intensi, il “massimo solare”, a momenti di relativa calma, il “minimo solare”. Ora il Sole si trova proprio in quest’ultima fase, infatti le macchie sono sparite.
Per capire meglio come funziona questo ciclo e cosa realmente siano le macchie solari ci siamo rivolti a uno dei massimi esperti italiani in materia, Mauro Messerotti, ricercatore all’Inaf di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather. La spiegazione dell’astrofisico triestino è allo stesso tempo complessa e appassionante: tenetevi forte, perché se pensavate di saperla lunga sul Sole, alla fine di questo articolo è possibile che avrete scoperto di non aver saputo.
«L’attività solare – spiega Messerotti – deriva dalla complessa interazione di tre diversi elementi: dal meccanismo della dinamo che, all’interno del Sole, genera un debole campo magnetico in direzione nord-sud (analogo a quello terrestre, ndr), da flussi di plasma interni orientati dall’equatore ai poli (chiamati flussi meridiani) e dalla rotazione differenziale, che trascina sia il campo magnetico che i flussi meridiani a velocità diverse a seconda della latitudine, più alte all’equatore, decrescenti verso i poli».
Qui facciamo una pausa per specificare meglio le principali componenti del Sole: al centro vi è un nucleo talmente denso da comportarsi (e dunque ruotare) come un solido. Fuori dal nucleo si trova una zona “cuscinetto”, chiamata tachocline, che rappresenta il confine tra il nucleo e la “zona convettiva”, che si comporta invece come un liquido e genera dunque le differenze di velocità. La superficie solare è detta fotosfera, ed è qui che è possibile osservare le macchie solari. L’atmosfera esterna del Sole è formata, infine, da un sottile strato chiamato cromosfera e da una vastissima area esterna chiamata corona, entrambe visibili durante le eclissi o con strumenti dedicati.
Ma cosa sono dunque le macchie solari e come vengono generate? «La rotazione differenziale – prosegue l’astrofisico – ammassa i flussi di plasma in “ciambelle“, tubi di flusso magnetico di alta intensità disposti sotto la fotosfera secondo piani paralleli all’equatore. Un processo di galleggiamento porta i tubi di flusso ad emergere in superficie, dove le loro sezioni ci appaiono come macchie più scure: le “macchie solari”, caratterizzate da un campo magnetico altissimo».
Come fa ben notare la Nasa, non si tratta di un semplice spettacolo visuale che possiamo ammirare da lontano. Le conseguenze del ciclo solare sono infatti abbastanza – anche se non completamente – conosciute dagli scienziati. E talvolta sono davvero paradossali, come ci chiarisce lo stesso Messerotti.
«Nelle fasi di minima attività solare – spiega in questo passaggio cruciale – la velocità media e la densità del vento solare diminuiscono significativamente. Questo si riflette sulla struttura della magnetosfera ed atmosfera terrestri, che subiscono una minor compressione e una minor iniezione di particelle energetiche originate dal Sole stesso. Paradossalmente, in questa situazione la componente a bassa energia dei raggi cosmici di derivazione esterna al Sistema Solare, come ad esempio le esplosioni di supernove, arriva sulla Terra indisturbata, contribuendo ad aumentare il livello di radiazioni fino alla stratosfera terrestre».
Pensavamo che il minimo solare fosse un periodo di tregua e invece… verrebbe proprio da dire dalla padella nella brace. E le stranezze non sono finite. «D’altra parte – continua infatti Messerotti – la presenza di estese regioni di bassa emissività tipiche della fasi di minimo, chiamate “buchi coronali“, implica la formazione di flussi veloci di vento solare in grado di originare tempeste geomagnetiche, che possono essere anche di una certa intensità e ricorrenza, dato che i buchi coronali sono strutture persistenti anche per più rotazioni solari. Quindi – conclude – il fatto che l’attività solare sia nella fase di minimo non esclude né il verificarsi di tempeste geomagnetiche né effetti dell’aumentato flusso di raggi cosmici sui sistemi biologici e tecnologici».