Escludendo ovviamente il nostro Sole, a causa della distanza è estremamente difficile ottenere l’immagine della superficie di una stella. Un esercizio di abilità che finora conta pochissimi esempi, come nei casi – di cui abbiamo parlato su Media Inaf –di Antares o di π1 Gruis.
Tuttavia, una tecnica speciale consente di risolvere – come dicono gli astronomi – la superficie di stelle anche lontane, che altrimenti apparirebbero come semplici puntini luminosi anche agli occhi dei più potenti telescopi.
Questa tecnica, denominata imaging Doppler o tomografia Doppler, funziona un po’ come una tomografia medica, dove viene però usato uno spettroscopio ad alta risoluzione per osservare ripetutamente una stella in rotazione. Con l’ausilio di un sofisticato software di ricostruzione, una serie temporale di profili di linee spettrali ottenuti nell’arco di una rotazione stellare completa può essere convertita in un’immagine che rappresenta la temperatura (e quindi la luminosità) della superficie stellare, altrimenti irrisolta.
Questo è stato il procedimento seguito da un gruppo di ricerca tedesco del Leibniz-Institut für Astrophysik Postdam, in Germania, per ottenere la mappa di temperatura della stella variabile II Pegasi A (HD 224085) in base ai dati raccolti dallo spettro-polarimetro Pepsi (Potsdam Echelle Polarimetric and Spectroscopic Instrument), realizzato dallo stesso istituto di ricerca tedesco e installato sul telescopio Large Binocular Telescope (Lbt), in Arizona (Usa). Un telescopio, quest’ultimo, dotato di due specchi da 8 metri di diametro che possono operare assieme come fossero un unico riflettore da quasi 12 metri, e al quale l’Inaf contribuisce al 25 per cento del costo di realizzazione del progetto e delle spese di gestione.
I risultati di questo nuovo studio, in via di pubblicazione su Astronomy & Astrophysics, mostrano che sulla superficie della stella appaiono ampie zone più fredde rispetto alla circostante fotosfera, simili alle macchie solari ma molto più estese. Si notano anche delle zone più calde, rappresentate in chiaro nella mappa. La coesistenza di zone “calde” e “fredde” non trova analogia sul Sole.
Per indagare più a fondo, i ricercatori hanno utilizzato le capacità polarimetriche dello strumento Pepsi. Sfruttando una tecnica di cartografia in luce polarizzata, il cosiddetto imaging Zeeman-Doppler, sono riusciti a ottenere la geometria del campo magnetico superficiale della stella.
Grazie a successive estrapolazioni delle line di campo magnetico, gli autori della ricerca hanno scoperto che le macchie stellari “calde” e “fredde” hanno opposte polarità magnetiche: positive le zone “fredde”, negative o miste i punti caldi.
Secondo Klaus Strassmeier dell’Istituto di astrofisica di Postdam, primo autore del nuovo studio, «la coesistenza dei punti caldi di II Pegasi può essere spiegata con un riscaldamento provocato dal fronte d’urto di un flusso di plasma che scorre tra regioni di diverse polarità».
Per saperne di più:
- Leggi l’anteprima dello studio in via di pubblicazione su Astronomy & Astrophysics “Warm and cool starspots with opposite polarities. A high-resolution Zeeman-Doppler-Imaging study of II Pegasi with PEPSI”, di K. G. Strassmeier, T. A. Carroll e I. V. Ilyin
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