Ngc 1052-Df2 e Ngc 1052-Df4 – per brevità, Df2 e Df4 – sono i nomi (speriamo provvisori) di due galassie facenti parte di un ammasso di galassie incentrato su Ngc 1052, galassia principale che si trova nella costellazione della Balena, a una sessantina di milioni di anni luce da noi. Due studi – distinti ma di fatto consecutivi e complementari, guidati da Pieter van Dokkum dell’università di Yale – sono stati pubblicati in questi giorni su The Astrophysical Journal Letters e promettono di mettere in crisi le nostre convinzioni in fatto di materia oscura.
Nel primo studio, il team di van Dokkum e della ricercatrice Shany Danieli ha osservato Df2 (della quale avevamo scritto qui su Media Inaf esattamente un anno fa, proprio per l’assenza di materia oscura) con il Keck Cosmic Web Imager, spettrografo che osserva in luce visibile al W. M. Keck Observatory, potente telescopio con due specchi da 10 metri che scruta il cielo dai 4125 metri della cima del monte Mauna Kea, alle isole Hawaii. Nel secondo studio, il team ha utilizzato lo spettrometro di imaging a bassa risoluzione dello stesso osservatorio per trovare un’altra galassia, Df4, anch’essa priva di materia oscura. Le due galassie, praticamente gemelle, sono state scoperte dagli stessi membri del team americano, e già questo non capita tutti i giorni. Figuriamoci se poi vi si trovano condizioni fisiche mai viste prima. Ma andiamo con ordine.
A caratterizzare Df2 e Df4 è, innanzi tutto, il basso numero di stelle: da cento a mille volte meno della Via Lattea, a fronte di una dimensione non troppo inferiore – 60mila anni luce di diametro contro i circa 100mila nostrani. Per via di questa scarsa densità sono anche dette “galassie fantasma”, e fanno parte della recente categorizzazione delle galassie ultra diffuse (ultra diffused galaxies).
Le galassie ultra diffuse sono poco brillanti e quasi trasparenti, tanto che, osservandole, si riescono a riconoscere altre galassie ben più compatte e lontane che traspaiono dallo sfondo. Al momento ne sono state scoperte un migliaio, quasi tutte in una piccola porzione di cielo, per cui si pensa che possano essere estremamente diffuse e che la loro individuazione sia solo una questione di tempo, di tecnologia e, fondamentalmente, di paziente lavoro osservativo. In ogni caso, nella totalità di quelle osservate in precedenza, non vi è mai stato il minimo dubbio sul fatto che contenessero moltissima materia oscura.
La materia oscura può essere considerata come uno dei più grandi postulati della fisica moderna, ovvero qualcosa che siamo costretti a prendere per vero per poter spiegare qualcos’altro. Una materia reale, ma invisibile ai nostri strumenti (ossia che non emette alcuna radiazione), è infatti uno dei pochi modi per spiegare l’eccessiva velocità che viene osservata nelle galassie, nei loro ammassi e nei raggruppamenti di stelle che ruotano al loro interno. In altre parole, la massa che normalmente osserviamo nelle galassie non sarebbe nemmeno lontanamente in grado di generare una gravità sufficiente a far muovere questi oggetti in modo tanto veloce e compatto anche nelle loro zone periferiche. In pratica, è da circa un secolo che assistiamo alla sistematica violazione della terza legge di Keplero, secondo la quale un corpo periferico ha una velocità orbitale inferiore a quella di un corpo vicino al centro gravitazionale: legge che funziona benissimo con i pianeti del Sistema solare – basti pensare Mercurio gira intorno al Sole a circa 48 km/s, la Terra a 30 km/s e Saturno a meno di 10 km/s – ma non funziona con le galassie. La materia oscura rappresenta una possibile soluzione – quella che oggi trova il maggiore accordo fra gli scienziati – al problema, senza dover rinnegare non solo Newton e Keplero ma, fatto non secondario, anche il modello cosmologico del Big Bang.
Poi arrivano scoperte come quella del team di Yale che mettono in discussione quel che si credeva assodato, ovvero che tutte le galassie contenessero enormi quantità di materia oscura. Non è il caso di Df2 e Df4, i cui ammassi stellari – dalle misurazioni effettuate – sembrano non risentire affatto di gravità in eccesso, anzi: gli ammassi globulari osservati hanno una velocità sorprendentemente coerente con quella attesa per galassie di massa pari a quella della sola materia “normale” misurata.
Risultato che ha stupito non poco i ricercatori: inizialmente, pensavano di aver preso un granchio. Le osservazioni successive, però, confermano quella pubblicata lo scorso anno – e che aveva suscitato reazioni opposte, di entusiasmo e scetticismo, nella comunità astrofisica. «A volte è stato un po’ stressante», ricorda van Dokkum. «Questo è il modo in cui il processo scientifico dovrebbe funzionare, d’accordo: noti qualcosa di interessante, altre persone non sono d’accordo, ottieni nuovi dati e alla fine impari qualcosa di più sull’universo. Ma sebbene maggior parte delle critiche fossero costruttive ed educate, non tutte lo erano. E ogni volta che arrivava una nuova critica ci toccava darci da fare e capire ci eravamo persi qualcosa».
In effetti, a parte la mera osservazione dell’inedito fenomeno, i ricercatori americani non hanno idea del perché queste galassie risultino prive di materia oscura, lasciando il campo aperto a tutte le ipotesi. Di fatto, però, la scoperta non solo non nega l’esistenza della materia oscura, ma paradossalmente la corrobora: da una parte suggerisce che materia normale e materia oscura non siano accoppiate, in quanto posso presentarsi separate, e dall’altra è difficilmente conciliabile con teorie alternative della gravità.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Still Missing Dark Matter: KCWI High-resolution Stellar Kinematics of NGC1052-DF2”, di Shany Danieli, Pieter van Dokkum, Charlie Conroy, Roberto Abraham e Aaron J. Romanowsky
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “A Second Galaxy Missing Dark Matter in the NGC 1052 Group”, di Pieter van Dokkum, Shany Danieli, Roberto Abraham, Charlie Conroy e Aaron J. Romanowsky