La studentessa di dottorato Emily Mason della Catholic University of America, negli Stati Uniti, ha scoperto che le piogge coronali di plasma sul Sole avvengono inaspettatamente anche in zone relativamente molto vicine all’eliosfera, la superficie solare. La scoperta, riportata in un nuovo studio ora pubblicato su Astrophysical Journal Letters, è frutto dell’analisi di svariati anni di osservazioni della sonda Nasa Sdo, Solar Dynamic Observatory, che dal 2010 riprende la nostra stella una volta ogni 12 secondi.
Le piogge coronali sono state finora osservate sul Sole soprattutto in concomitanza di potenti esplosioni, i cosiddetti flare, o brillamenti, che proiettano enormi quantità di plasma nella corona, la parte più esterna dell’atmosfera del Sole. Parte del plasma ricade verso la superficie e, secondo lo stesso principio fisico che produce la pioggia sulla Terra, condensa quando passa da zone più calde a zone più fredde.
Vari modelli teorici, tra cui quelli sviluppati da ricercatori dell’Inaf, prevedono che queste piogge roventi debbano essere molto frequenti sul Sole, in particolare nei flussi di plasma che si sviluppano sopra regioni attive del Sole, fino a grandissime distanze dalla stella. Il vento solare modella questi archi di plasma a forma di petali appuntiti (helmet streamer), ben visibili durante le eclissi.
Tuttavia, pur scandagliando con cura le immagini ottenute da Sdo nella banda dell’estremo ultravioletto, gli autori del nuovo studio non sono riusciti a trovare segni di piogge coronali in questi grandi flussi di plasma che si estendono fino a distanze pari a sei volte il raggio solare.
Hanno invece trovato una “pioggerellina persistente” dove non si aspettavano, ovvero in piccoli anelli di plasma, detti topologie a punto zero, che si elevano ben poco dalla superficie solare: solo fino a un’altezza di circa 50mila chilometri, inferiore a un decimo del raggio solare.
Come si può intuire, il risultato è sorprendente, perché questi anelli di plasma più corti dovrebbero presentare al loro interno un’escursione termica ben inferiore rispetto agli streamer più grandi, rendendo più difficile la condensazione e quindi il verificarsi di precipitazioni.
Secondo gli autori, in condizioni normali i grumi di plasma condensato, cioè le “gocce” di pioggia, risultano grandi e quindi osservabili negli anelli coronali piccoli, mentre in quelli più grandi la variazione graduale della temperatura produce grani molto più fini, invisibili agli attuali telescopi.
Pur non dirimendo la questione su come avvenga il misterioso sovra-riscaldamento della corona solare, 200 volte più calda della fotosfera, questa scoperta indica una direzione promettente su cui indagare. «Ancora non sappiamo esattamente come si riscaldi la corona, ma sappiamo che deve accadere in questo strato», conferma Mason.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo pubblicato su Astrophysical Journal Letters “Observations of Solar Coronal Rain in Null Point Topologies”, di E. I. Mason, Spiro K. Antiochos e Nicholeen M. Viall