Laghi profondi oltre 100 metri, incastonati in cima alle colline e alimentati dalle piogge nell’arco di migliaia di anni. E poi stagni fantasma, che spariscono con il lento alternarsi delle stagioni. Sembrerebbe un familiare paesaggio terrestre, se non ci trovassimo sulla più grande luna di Saturno, Titano, dove i bacini non sono fatti di acqua, bensì di idrocarburi. A “tuffarvisi” dentro per la prima volta sono stati due gruppi di ricerca indipendenti, che sulla rivista Nature Astronomy pubblicano due studi basati sui dati lasciati in eredità dalla missione Cassini di Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi).
E proprio l’Italia ha un ruolo di primo piano nello studio che ha scandagliato gli abissi dei laghi di Titano. «Siamo riusciti per la prima volta a misurare la loro profondità e la composizione in metano ed etano grazie al radar di Cassini, costruito in gran parte in Italia», spiega Roberto Seu, ricercatore dell’Università Sapienza di Roma, che ha lavorato allo studio insieme a Marco Mastrogiuseppe del California Institute of Technology (Caltech), Valerio Poggiali della Cornell University e Giuseppe Mitri dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara.
«Il radar, usato in modalità altimetro, ci ha dato la possibilità di vedere attraverso l’atmosfera satura di idrocarburi di Titano, facendo una vera e propria batimetria dei fondali dei laghi dell’emisfero settentrionale che ci ha portato a misurare bacini profondi 100 metri o poco più», continua Seu.
I dati sono stati raccolti il 22 aprile 2017, durante l’ultimo passaggio ravvicinato di Cassini, e permettono di capire meglio la geologia del satellite di Saturno; insieme al secondo studio sui laghi stagionali, profondi pochi millimetri, il quadro diventa ancora più completo.
«Ogni volta che facciamo una scoperta su Titano, il mistero aumenta, ma queste nuove misure ci permettono di rispondere ad alcune domande: ora, per esempio, conosciamo meglio la sua idrologia», commenta Mastrogiuseppe, coordinatore dello studio.
«Titano – aggiunge Seu – è l’unico corpo del Sistema solare che ha un ciclo simile a quello dell’acqua presente sulla Terra, anche se nel suo caso abbiamo nubi, precipitazioni e bacini fatti di idrocarburi: studiarlo è importante perché, secondo alcuni esperti, potrebbero esserci le condizioni che avrebbero potuto ospitare qualche forma di vita primordiale».