A 250 anni luce di distanza dalla Terra, su una stellina grande quanto il nostro Giove, è esploso un flare dieci volte più potente di qualsiasi cosa si sia mai vista sul nostro Sole. A oggi, questa stellina è la più piccola e la più fredda sulla quale si sia osservato un superflare di questo tipo, raro e molto intenso. Addirittura, secondo alcune definizioni, questo piccolo oggetto celeste non dovrebbe nemmeno essere considerato una stella, per via delle sue piccole dimensioni, e invece è stata in grado di sprigionare un brillamento spettacolare.
La ricerca, finanziata dal Science and Technology Facilities Council, è stata pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters e fa luce sulla questione di quanto possa essere piccola una stella e continuare a sprigionare flare nella sua atmosfera. Si pensa che i flare siano guidati da un improvviso rilascio di energia magnetica generata all’interno della stella. Questo fa sì che le particelle cariche scaldino il plasma sulla superficie stellare, rilasciando grandi quantità di radiazioni nell’ottico, nell’ultravioletto e a raggi X.
«L’attività delle stelle di bassa massa», spiega l’autore principale dello studio, James Jackman, studente di dottorato al Dipartimento di fisica dell’Università di Warwick, «diminuisce al diminuire della massa, e noi ci aspettiamo che la cromosfera (una regione della stella dove avvengono i brillamenti) diventi più fredda o più debole. Aver osservato un flare bianco in una stella di massa incredibilmente bassa, dove la cromosfera dovrebbe essere quasi al minimo, dimostra che anche in stelle del genere può ancora esistere una forte attività».
«Questo oggetto si colloca al confine tra una normale stella e una nana bruna. Qualsiasi stella con una massa inferiore sarebbe sicuramente una nana bruna. Spingendoci a questo limite», prosegue Jackman, «possiamo vedere se questo tipo di brillamenti è limitato alle stelle e, in tal caso, quando questa attività cessa di manifestarsi. Questo risultato ci permettere di compiere grandi passi avanti nel trovare la risposta a queste domande».
La stella in questione, denominata Ulas J224940.13-011236.9 e classificata come “nana L”, si trova a 250 anni luce di distanza da noi e ha un raggio che è solo un decimo del raggio del Sole: praticamente ha la stessa dimensione di Giove. È sempre stata troppo debole per essere osservata dalla maggior parte dei telescopi, fino a quando i ricercatori, mentre stavano conducendo una survey ottica delle stelle circostanti, hanno avvistato la grande esplosione stellare nella sua cromosfera.
Con la Next Generation Transit Survey (Ngts) dell’osservatorio Paranal dell’Eso, e con dati dai programmi osservativi Two Micron All Sky Survey (2Mass) e Wide-field Infrared Survey Explorer (Wise), i ricercatori hanno tenuto traccia della luminosità della stella per 146 notti. Il flare è stato osservato nella notte del 13 agosto 2017 e ha emesso un’energia equivalente a 80 miliardi di megatoni, dieci volte superiore a quella emessa dall’evento di Carrington nel 1859, l’evento energeticamente più potente osservato sul nostro Sole. I brillamenti solari si verificano regolarmente sul Sole, ma se il Sole dovesse sperimentare un flare come quello avvenuto su questa stella, i sistemi di comunicazione e quelli energetici della Terra potrebbero essere seriamente compromessi.
Quello osservato è stato uno dei più intensi flare mai visti su una stella nana L, facendo apparire la stella 10mila volte più luminosa del normale.
«Sapevamo da altre survey», continua James, «che questo tipo di stelle era presente e sapevamo da precedenti lavori che avrebbe potuto presentare flare incredibili, tuttavia la stella quiescente era troppo debole per essere vista, e solo quando è esploso il flare è diventata abbastanza luminosa da consentirci di rilevarla con i nostri telescopi».
«I nostri dodici telescopi Ngts vengono normalmente utilizzati per cercare pianeti attorno a stelle luminose: è emozionante scoprire che possiamo usarli anche per trovare esplosioni giganti su piccole e deboli stelle», dice Peter Wheatley, supervisore di dottorato di Jackman. «Non solo: rilevare questi bagliori può aiutarci a capire l’origine della vita sui pianeti».
Fra gli oggetti che possono essere considerati stelle, le nane L sono tra quelli di massa più bassa, e nel diagramma di Hertzsprung-Russell giacciono nella regione di transizione tra le stelle e le nane brune. Le nane brune non sono abbastanza grandi da fondere l’idrogeno in elio, come fanno le stelle. Le nane L sono molto fredde rispetto alle più comuni stelle di sequenza principale, come le nane rosse, ed emettono radiazioni principalmente nell’infrarosso, che possono influenzare la loro capacità di sostenere la formazione della vita.
«Le stelle più calde emettono maggiormente nello spettro ottico, specialmente verso l’ultravioletto. Poiché questa stella è più fredda, circa 2000 kelvin, e la maggior parte della sua luce è emessa nell’infrarosso, quando si sviluppa il flare si genera radiazione ultravioletta che normalmente non si vedrebbe», spiega Jackman. «Per avere reazioni chimiche su un pianeta orbitante attorno a una certa stella, e affinché si formino gli amminoacidi che costituiscono le basi della vita, è necessario un certo livello di radiazioni ultraviolette che normalmente queste stelle non riescono a possedere, perché emettono principalmente nell’infrarosso. Ma un flare come quello che abbiamo osservato potrebbe innescare qualche reazione».
«È incredibile che una stella così debole possa aver prodotto un’esplosione così potente: ci costringerà a ripensare al meccanismo con il quale piccole stelle possono immagazzinare energia nei campi magnetici», conclude Wheatley. «Ora stiamo cercando di trovare analoghi flare giganti in altre stelle piccole, per riuscire a oltrepassare i limiti della nostra conoscenza».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters l’articolo “Detection of a giant white-light flare on an L2.5 dwarf with the Next Generation Transit Survey” di James A G Jackman et al.