Un approccio basato sul deep learning – apprendimento profondo, in italiano – per migliorare la comprensione delle atmosfere planetarie, di Saturno in particolare. È quello che due ricercatori della University College London e dell’Università dell’Arizona hanno utilizzato per rilevare le tempeste sul gigante gassoso. Lo studio, pubblicato oggi su Nature Astronomy, fornisce i risultati del primo utilizzo dell’algoritmo PlanetNet, basato sull’intelligenza artificiale. Una nuova tecnica che ha permesso di identificare e mappare le componenti e le caratteristiche delle regioni turbolenti dell’atmosfera del gigante gassoso, fornendo informazioni sui processi che di queste tempeste sono il motore.
Sviluppato dagli stessi ricercatori, PlanetNet è stato “istruito” e testato, secondo i dettami del deep learning, utilizzando i dati degli spettri a infrarosso dello strumento Vims (Visible and Infrared Mapping Spectrometer) a bordo della sonda Cassini, la missione congiunta Nasa, Esa e Asi. Un set di dati su più tempeste ravvicinate osservate sul pianeta nel febbraio del 2008 è stato scelto per fornire all’algoritmo una vasta gamma di caratteristiche atmosferiche complesse, così da “sfidare” le sue capacità per produrre infine mappe dell’atmosfera saturniana.
Ma come fa l’algoritmo a produrre queste mappe?
Inizialmente, PlanetNet cerca i dati con segni comuni nella struttura delle nubi e nella composizione del gas del pianeta. Per ciascuna area di interesse, poi, rimuove le incertezze ai bordi dell’area ed esegue un’analisi sulle proprietà spettrali e spaziali. Infine, ricombinando i due flussi di dati – quelli spettrali e quelli spaziali, appunto – PlanetNet produce una mappa che rappresenta le principali componenti delle tempeste di Saturno con una precisione senza precedenti.
Andiamo adesso ai risultati. La mappa ottenuta dai ricercatori mostra chiaramente le vaste regioni atmosferiche del gigante gassoso colpite dalle tempeste e le nubi scure tempestose contenti materiale spazzato via dagli strati inferiori dell’atmosfera dai forti venti verticali presenti sul pianeta. Ma non è tutto. Analisi precedenti del set di dati avevano rilevato nell’atmosfera tracce di ammoniaca, presente in nubi a forma di ‘S’. La mappa prodotta da PlanetNet mostra che, in effetti, questa caratteristica c’è (vedi la figura indicato con la freccia nell’immagine qui sotto). È la parte prominente di una nuvola di ghiaccio d’ammoniaca più grande, risalita attorno alla tempesta scura centrale. Una risalita simile che è stata identificata dall’algoritmo anche attorno a un’altra piccola tempesta, suggerendo che tale caratteristica sia abbastanza comune. La mappa mostra inoltre pronunciate differenze tra il centro della tempesta e le aree circostanti, segno di una visione chiara nell’atmosfera più calda e profonda.
Ma perché utilizzare metodi basati sull’intelligenza artificiale, come il deep learning, al posto delle tecniche di indagine tradizionali?
«Missioni come Cassini raccolgono grandi quantità di dati, e le tecniche classiche per l’analisi presentano svantaggi sia nell’accuratezza delle informazioni che possono essere estrapolate che nel tempo necessario per eseguirle. Il deep learning consente il riconoscimento di caratteristiche ricorrenti tra diversi insiemi di dati multipli», spiega Ingo Waldmann, primo autore dell’articolo. «In tal modo abbiamo la possibilità di analizzare i fenomeni atmosferici su grandi aree e da punti di vista diversi, e riusciamo a stabilire nuove associazioni tra la forma di queste nubi e le proprietà chimico-fisiche che le producono».
E se da un lato questo approccio permette un miglioramento della qualità delle informazioni e per di più con la possibilità di ottenerle in un minor tempo, dall’altro, aggiunge Caitlin Griffith, coautrice dell’articolo, «PlaneNet ci permette di analizzare volumi di dati molto più grandi, e questo ci dà informazioni su larga scala delle dinamiche di Saturno. I risultati rivelano caratteristiche atmosferiche precedentemente inosservate. PlanetNet potrebbe poi essere facilmente adattato ad altri set di dati e pianeti, rendendolo uno strumento potenzialmente prezioso per molte missioni future».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Mapping Saturn using deep learning“, di I. P. Waldmann e C. A. Griffith.