RILEVATA L’INTERFERENZA DI POSITRONI

Anche l’antimateria nell’onda quantistica

Un gruppo di ricerca quasi interamente italiano ha realizzato per la prima volta con singoli antielettroni il classico esperimento della doppia fenditura, dimostrando in modo diretto che il dualismo onda-particella vale anche per l’antimateria

     06/05/2019

L’interferometro Talbot-Lau al Laboratorio positroni del Politecnico di Milano in Como. Crediti: Lhep / Aec, Università di Berna

In un articolo pubblicato su Science Advances, un gruppo di ricerca prevalentemente italiano spiega come sia riuscito ad ottenere la conferma sperimentale della natura ondulatoria del positrone, la controparte nell’antimateria dell’elettrone, grazie a una versione antimaterica dell’esperimento della doppia fenditura, allestito al Laboratorio positroni del Politecnico di Milano, situato a Como.

Nel 1974, un terzetto di fisici italiani realizzò a Bologna uno degli esperimenti più famosi della fisica, l’interferenza di singoli elettroni diffratti attraverso una doppia fenditura. L’esperimento – di cui si può vedere qui un’esauriente spiegazione dell’epoca – dimostrava uno dei dogmi fondamentali della fisica quantistica: il dualismo onda-particella, ovvero che la materia, in determinate condizioni, si comporta come un’onda.

Se le particelle si comportassero solo come particelle, infatti, passando una alla volta attraverso le fenditure viaggerebbero in linea retta e produrrebbero sul rivelatore un disegno corrispondente alle fenditure. Ma se le particelle hanno una natura ondulatoria, sul rivelatore allora appare una figura a strisce, con diversi massimi e minimi, generata dall’interferenza delle onde che passano attraverso le fenditure.

Esperimenti simili hanno poi rivelato la doppia natura – particellare e ondulatoria – di fotoni, atomi e perfino di grosse molecole. La difficoltà nel riuscire a generare un flusso sufficientemente forte e stabile di antiparticelle ha finora reso molto più problematico applicare lo stesso concetto all’antimateria.

Schema dell’esperimento di interferenza di singoli positroni. Crediti: Infn

«Dimostrare l’interferenza di antiparticella singola è stato possibile grazie a tre elementi cruciali: un fascio di positroni a particella singola, un interferometro in modalità Talbot-Lau progettato appositamente, e le emulsioni nucleari come rivelatore di alta risoluzione», spiega Simone Sala dell’Università degli Studi di Milano, la cui tesi di dottorato è incentrata su questo esperimento e che ha apposto la prima firma al nuovo studio.

Nel nuovo esperimento, il fascio collimato di positroni singoli di energia ben determinata, generato attraverso il decadimento radioattivo dell’isotopo sodio-22, passa attraverso l’interferometro, che consiste in due file successive – posizionate in modo da amplificare gli effetti dell’interferenza – di sottilissime asticelle. Gli spazi vuoti tra le asticelle, delle dimensioni di poche centinaia di nanometri, funzionano analogamente alle fessure del classico esperimento a doppia fenditura.

La rilevazione delle onde positroniche avviene quindi su un rivelatore a emulsione nucleare, una sorta di carta fotografica in bianco e nero dove le singole antiparticelle lasciano l’impronta del loro arrivo alterando la struttura chimica dei cristalli di bromuro d’argento.

Microscopio per l’esame del rivelatore a emulsione nucleare utilizzato all’Università di Bera. Crediti: Ciro Pistillo, Lhep / Aec, Università di Berna

Il film a emulsione nucleare viene sviluppato in una camera oscura e poi osservato al microscopio. Grazie ai particolari accorgimenti adottati, nella microfotografia ottenuta i ricercatori hanno potuto distinguere nettamente la figura d’interferenza attesa.

Si è trattato di un lavoro di estrema accuratezza, spiegano gli autori. Per due anni sono stati raccolti dati, e parallelamente sono stati apportati miglioramenti all’interferometro, sino a riuscire a vedere la risonanza con un segnale di alta visibilità. Per ogni misura è stata accumulata una statistica di circa venti milioni di positroni sulle emulsioni, uno alla volta, per un tempo di circa 8 giorni. Alla fine, l’andamento della visibilità delle frange in funzione dell’energia ha inequivocabilmente mostrato la natura quantistica dell’interferenza.

A parte sondare le caratteristiche di conglomerati di antimateria, spiegano gli autori del nuovo studio, l’obiettivo a lungo termine dell’esperimento è utilizzare la straordinaria accuratezza dell’interferometria per misurare l’interazione gravitazionale materia-antimateria.

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