È minuscola, appena 160 metri di diametro. Ma catalizza l’attenzione delle più grandi agenzie spaziali, Nasa ed Esa. E non solo: a inizio aprile è stata osservata anche dal Cile, con due dei quattro telescopi del Vlt, i giganti da 8.2 metri dell’osservatorio Eso di Paranal. Oggetto di tanto interesse è una piccola roccia, la minore delle due che formano l’asteroide binario 65803 Didymos: Didymos A (la più grande, 780 metri di diametro) e, appunto, Didymos B, la più piccola – meglio nota con il nomignolo Didymoon, visto che orbita attorno alla sorella maggiore come farebbe un satellite naturale con il proprio pianeta.
A renderla così interessante non è la sua eventuale pericolosità, anzi: proprio il contrario. Didymoon potrebbe infatti essere la roccia che ci salverà. E se c’è qualcuno che rischia qualcosa, in questa storia, è proprio lei, la vittima sacrificale: saremo infatti noi terrestri a colpirla. Se tutto andrà secondo i piani, nel settembre del 2022 la sonda spaziale Dart (Double Asteroid Redirection Test) della Nasa – 550 kg di massa, lancio in calendario nel giugno 2021 con un Falcon 9 della SpaceX – si schianterà contro la piccola Didymoon a oltre 20mila km/h, con l’obiettivo dichiarato di perturbarne l’orbita.
L’operazione rientra nell’ambito del più ampio programma Aida (Asteroid Impact and Deflection Assessment, un programma congiunto Esa e Nasa), che ha come scopo proprio quello di capire se e come sia possibile deviare l’orbita di un futuro asteroide in rotta verso la Terra. Per questo esperimento, Didymoon è la cavia perfetta. Anzitutto, essendo così piccola, anche un impatto modesto come quello in programma dovrebbe sortire qualche effetto. Ma è il suo esser parte di un asteroide binario a renderla particolarmente adatta allo scopo: misurare la variazione impressa dall’impatto sull’orbita di Didymoon attorno alla roccia compagna è, infatti, enormemente più semplice rispetto a misurare la stessa variazione sull’orbita di un singolo asteroide attorno al Sole. Detto altrimenti, poter condurre l’esperimento su un sistema in miniatura permette agli scienziati di valutarne con maggior precisione gli effetti.
Per misurarne accuratamente le conseguenze è però necessario conoscere lo stato del sistema anche prima dell’impatto. Sia in termini di composizione geologica – una roccia più morbida assorbirebbe assai meglio il colpo rispetto a una superficie più dura, rendendolo così meno efficace – sia in termini di dinamica del sistema binario. Ed è su quest’ultimo punto che entrano in gioco le recenti osservazioni da terra compiute con il Vlt dell’Eso: benché l’intero sistema, a causa dell’enorme distanza, persino agli occhi dei più grandi telescopi al mondo appaia come nient’altro che un minuscolo puntino luminoso (vedi immagine in apertura), studiandone con attenzione le variazioni di luminosità gli astronomi possono infatti calcolare con precisione il periodo orbitale di Didymoon.
A impatto avvenuto, toccherà poi a una sonda Esa raccogliere il testimone del programma: si chiama Hera, come la dea greca del matrimonio, e dovrebbe essere lanciata nel dicembre del 2023 – il condizionale è d’obbligo, finché la missione non verrà approvata – con lo scopo di recarsi sul posto per misurare i “danni” provocati da Dart. Nel mentre, però, gli scienziati non resteranno con le mani in mano: al momento dell’impatto ci sarà infatti da quelle parti un piccolo testimone oculare, a documentare “in tempo reale” il delitto e le sue conseguenze. Un testimone che parla italiano: si tratta del nanosatellite LiciaCube, fornito dall’Agenzia spaziale italiana e realizzato da Argotec, che vede la partecipazione di personale di ricerca dell’Inaf, dell’Ifac-Cnr, del Politecnico di Milano e delle università di Bologna e Parthenope (Napoli). Grande come una scatola da scarpe, LiciaCube viaggerà a bordo di Dart, ma poco prima dell’impatto abbandonerà la sonda madre proprio per seguirne da vicino l’impresa.
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