Utilizzando i dati dei telescopi spaziali Kepler-K2 e Tess della Nasa, un team di ricercatori guidato da Dominic Bowman della Katholieke Universiteit Leuven (Belgio) ha osservato per la prima volta le perturbazioni prodotte dalle onde di gravità provenienti dall’interno di stelle supergiganti blu. Lo studio è pubblicato su Nature Astronomy.
Le supergiganti blu sono stelle con dieci volte o più la massa del nostro Sole. Come i miti del rock and roll, sono stelle che vivono freneticamente e muoiono giovani, espellendo il loro materiale nello spazio dopo essere esplose come supernove. La brevità delle loro vite le ha rese a lungo soggetti difficili da studiare, lasciando senza risposta domande che da tempo gli astronomi si ponevano. Una fra queste riguarda la causa della variazione che si osserva nella loro luminosità. A rendere ancor più difficile scoprirne l’origine, c’è il fatto che non si riesce – con i telescopi – a sondare cosa accada nel cuore profondo di queste stelle. Ma il team di ricercatori che ha condotto lo studio è riuscito, per la prima volta, nell’impresa: “vedere” al di sotto della superficie opaca di queste stelle e dare una risposta alla domanda.
Grazie a simulazioni condotte avvalendosi dei dati, raccolti dai due telescopi spaziali della Nasa, su un campione ampio e omogeneo di stelle che include dozzine di supergiganti blu, i ricercatori hanno scoperto che, nella quasi totalità di queste stelle, a essere responsabile della variazione di luminosità sono pulsazioni stella che originano dall’interno propagandosi in superficie. Un particolare tipo di onde sismiche a bassa frequenza – le onde di gravità, appunto – che gli astrosismologi potranno sfruttare per studiare la struttura interna di queste stelle, esattamente come i sismologi utilizzano i terremoti per studiare il cuore della Terra.
«La scoperta delle onde in così tante stelle supergiganti blu è stato un “momento Eureka”», ricorda Bowman. «Le pulsazioni, ovviamente, sono sempre state lì: abbiamo solo dovuto aspettare che i moderni telescopi riuscissero a osservarle. È come se le missioni spaziali Nasa fossero riuscite solo ora ad aprire la porta della sala concerti dove le stelle del rock and roll si esibiscono da sempre».
Una scoperta utile anche perché, dalla frequenza di queste onde in superficie, i ricercatori possono non solo derivare la fisica e la chimica del loro interno profondo, ma anche mappare l’evoluzione di stelle simili giunte alla fine del loro ciclo vitale. Un passo importante verso una calibrazione empirica basata sui dati dei modelli di evoluzione teorica per le stelle più massicce dell’universo.
«Grazie ai moderni telescopi spaziali stiamo entrando in un’era d’oro dell’astrosismologia delle stelle massicce», conclude il ricercatore. «La scoperta di queste onde nelle supergiganti blu ci consente di studiare i progenitori delle supernove da una prospettiva nuova».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Low-frequency gravity waves in blue supergiants revealed by high-precision space photometry“, di Dominic M. Bowman et al.