La notte del 13 gennaio 2019 Nidia Morrell se la ricorderà a lungo. L’astronoma argentina stava conducendo osservazioni di supernove con uno dei telescopi gemelli Magellano da 6.5 metri di Las Campanas, in Cile. Osservazioni nell’ambito di una complessa indagine – una survey, come la chiamano gli astronomi – che ha come obiettivo quello di produrre e classificare gli spettri di cento supernove di tipo Ia (si legge ‘uno-a’) per tentare di chiarire i punti oscuri sull’esatto meccanismo che le porta a esplodere. Ebbene, lo spettro che si presentò agli occhi di Morrell il 13 gennaio scorso, ottenuto analizzando la supernova Asassn-18tb con lo spettrografo Ldss-3, mostrava qualcosa di mai visto prima: una riga dell’idrogeno – dunque la firma della presenza dell’elemento – del tutto anomala.
Il motivo è presto detto: negli spettri delle supernove di tipo Ia l’idrogeno non dovrebbe esserci per definizione. Nel senso che è proprio l’assenza o meno delle righe d’emissione dell’idrogeno il tratto distintivo principale fra supernove di tipo I e quelle di tipo II. A dire il vero, ci sono alcune – rare – supernove di tipo Ia che mostrano la firma dell’idrogeno nel loro spettro nebulare, ma non si tratta di idrogeno appartenente al materiale della stella disperso dall’esplosione, bensì dell’idrogeno presente nell’ambiente circostante: il cosiddetto ‘mezzo circumstellare’, un guscio di gas che avvolge la supernova. Ma non poteva esser questo il caso di Asassn-18tb. Le supernove di tipo Ia avvolte nell’idrogeno, oltre a essere molto rare, sono state tutte individuate in galassie giovani, dove l’idrogeno abbonda – non a caso, presentano un alto tasso di formazione stellare, che richiede appunto l’idrogeno come materia prima. Non solo: negli spettri di queste supernove di tipo Ia in cui l’idrogeno è presente, lo è in modo deciso, mentre lo spettro di Asassn-18tb suggerisce che ce ne sia pochissimo.
Dunque come stanno le cose? Da dove arriva quell’idrogeno? Lo scenario ipotizzato dagli autori dello studio – guidato da Juna Kollmeier della Carnegie Institution for Science e pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – è che l’idrogeno non appartenga né alla stella esplosa né al mezzo circostante. «C’è la possibilità elettrizzante che quello da noi osservato sia il materiale strappato dall’esplosione alla stella compagna della nana bianca», dice uno dei coautori dello studio, Anthony Piro. «Se fosse questo il caso, sarebbe la prima osservazione di un evento del genere».
Il motivo per cui gli astrofisici trovano così interessante l’ipotesi che l’idrogeno appartenga non alla nana bianca esplosa, o al mezzo circostante, bensì alla stella compagna è presto detto: riuscire a completare il puzzle dello scenario dell’esplosione delle supernove di tipo Ia – chiarendo la natura delle stelle compagne – è di importanza cruciale per l’impiego corretto di queste supernove come “candele standard” per misurare la distanza delle galassie remote.
«Le supernove termonucleari», spiega a Media Inaf, riferendosi alle supernove di tipo Ia, Massimo Turatto, dirigente di ricerca all’Inaf di Padova, al quale abbiamo chiesto un commento su questo studio, «sono ottimi indicatori di distanza su scala cosmologica grazie ad alcune relazioni empiriche che legano la loro luminosità alla forma della curva di luce. Sappiamo che si tratta di nane bianche che esplodono a causa dell’accrescimento di materia da una stella compagna, ma non conosciamo la natura della stella compagna né il meccanismo di accrescimento. Questa incertezza lascia alcune ombre sul loro utilizzo cosmologico».
«Una possibile via per determinare la natura del sistema progenitore», continua l’astrofisico, «è quella di cercare flebili indizi sulla presenza di idrogeno negli spettri nebulari. La loro presenza indicherebbe che la compagna è una stella non evoluta alla quale viene strappato l’inviluppo più esterno durante l’esplosione della nana bianca. L’oggetto studiato da Kollmeier et al. finalmente mostra questa evidenza».
«Purtroppo la massa di idrogeno derivata dalle osservazioni è due ordini di grandezza minore di quella prevista dalla teoria», osserva però Turatto, «e anche la frequenza di tali eventi (studiata in altri recenti lavori) sta ad indicare che tale meccanismo è al lavoro solo in una minoranza di supernove di questo tipo. Molto resta ancora da fare».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “H α emission in the nebular spectrum of the Type Ia supernova ASASSN-18tb”, di Juna A. Kollmeier, Ping Chen, Subo Dong, Nidia Morrell, M. M. Phillips, Doron Kushnir, J. L. Prieto, Anthony L. Piro e Joshua D. Simon