Nome in codice Sfxt (dall’inglese supergiant fast X-ray transients), sono un sottogruppo di binarie X di grande massa, in cui una stella compatta – solitamente una stella di neutroni – accresce “rubando” materiale alla compagna, una supergigante blu. Il gas di particelle del vento solare che dalla supergigante va a cadere sulla superficie della stella compatta, nel processo, aumenta la sua temperatura tanto da emettere radiazione X. Questa emissione, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, non è costante, ma presenta dei picchi molto intensi (flare). Picchi che possono essere fino a centinaia o persino migliaia di volte più alti del flusso medio, ma che durano relativamente poco: qualche decina di ore al più.
Uno studio pubblicato lo scorso 10 maggio su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, condotto da ricercatori dell’Inaf di Milano, ha individuato la responsabile di questa variabilità nell’emissione in banda X delle Sfxt: pare che sia la magnetosfera della compagna compatta, la stella di neutroni.
«Grazie all’uso delle osservazioni d’archivio del satellite Xmm-Newton, abbiamo studiato le proprietà dei flare di una manciata di Sfxt», dice a Media Inaf la prima autrice dell’articolo, Lara Sidoli, dell’Inaf Iasf Milano. «Ne è emersa una grande varietà di durata, di energia emessa e di luminosità massima al picco dei loro flare. Confrontando queste proprietà con la teoria, abbiamo trovato che esse possono essere spiegate da un particolare tipo di instabilità (detta di Rayleigh-Taylor) che si realizza ai confini della magnetosfera della stella di neutroni. In pratica, solo sotto determinate condizioni fisiche questa instabilità della magnetosfera della stella di neutroni “apre la porta” all’ingresso della materia catturata, che può finalmente cadere verso la superficie della stella di neutroni, emettendo raggi X a intermittenza, sotto forma di flare».
Questo spiegherebbe le irregolarità dell’emissione X di questi sistemi binari.
Distinguere i vari flare non è semplice, e l’aspetto più originale dello studio sta proprio nell’uso di un modo più efficiente di ricostruire l’emissione (la “curva di luce”) delle binarie e le caratteristiche distintive dei flare. Gli autori utilizzano il metodo dei “blocchi bayesiani”, che permette di suddividere i dati a disposizione in intervalli di ampiezza variabile che meglio si adattano a descrivere la curva.
«La curva di luce così prodotta permette di individuare in maniera immediata aumenti improvvisi del tasso di conteggi, e quindi di selezionare i flare di una sorgente senza usare modelli per la forma del segnale», spiega Ruben Salvaterra, co-autore dello studio, anch’egli dell’Inaf Iasf Milano. «Questo rende possibile misurare parametri quali, ad esempio, durata, tempo di salita e tempo di decadimento per tutti i flare, in maniera sistematica, omogenea e automatizzata».
«Il lavoro sui flare delle Sfxt è il primo esempio di sfruttamento sistematico di questo metodo per una specifica classe di sorgenti. Si tratta solo dell’inizio», sottolinea Andrea De Luca dell’Inaf Iasf Milano, anch’egli co-autore dello studio. «All’interno del progetto Extras (Exploring the X-ray Transient and variable Sky) abbiamo prodotto curve di luce con questo approccio per tutte le sorgenti osservate da Xmm-Newton. Si tratta di uno strumento molto potente per identificare e caratterizzare qualunque fenomeno di variabilità temporale. È naturale quindi pensare che altri gruppi vorranno utilizzare questi prodotti per studiare le loro classi di sorgenti preferite. I prodotti di Extras sono pubblici e possono essere scaricati dal sito del progetto».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Supergiant Fast X-ray Transients uncovered by the EXTraS project: flares reveal the development of magnetospheric instability in accreting neutron stars“, di Lara Sidoli, Konstantin A. Postnov, Andrea Belfiore, Martino Marelli, David Salvetti, Ruben Salvaterra, Andrea De Luca e Paolo Esposito