Il nome non è molto entusiasmante, Bmp J1613-5406, ma questa enigmatica nebulosa planetaria è tutt’altro che anonima, visto che di fatto è un peso massimo tra gli oggetti celesti del suo genere.
È risaputo che le stelle più massicce hanno una vita breve e muoiono giovani, esplodendo come potenti supernove dopo pochi milioni di anni. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle stelle, incluso il nostro Sole, ha una massa molto più ridotta e può vivere per molti miliardi di anni prima di evolvere in una nebulosa planetaria – la breve ma magnifica fase terminale della loro vita.
Una nebulosa planetaria si forma quando rimane solo una piccola frazione di idrogeno incombusto nel nucleo stellare. La pressione della radiazione espelle gran parte di questo materiale e il caldo nucleo stellare ionizza gli strati espulsi, creando una nebulosa planetaria e rilasciando nello spazio prezioso materiale fossile che testimonia il processo di perdita di massa stellare (le nebulose planetarie non hanno nulla a che fare con i pianeti ma hanno acquisito questo nome perché ai primi osservatori queste sfere incandescenti di gas ionizzato attorno alle loro calde stelle centrali hanno ricordato i pianeti).
Da un punto di vista teorico, le nebulose planetarie possono derivare da stelle con una massa da 1 a 8 volte la massa del Sole, che rappresentano il 90 per cento di tutte le stelle più massicce del Sole. Tuttavia, fino ad ora, era stato dimostrato che le nebulose planetarie derivassero da stelle con massa da 1 a 3 volte la massa del nostro Sole. Quentin Parker, professore del Dipartimento di fisica e direttore del Laboratorio per la ricerca spaziale dell’Università di Hong Kong, con la dottoressa Fragkou Vasiliki e in collaborazione con l’Università di Manchester e l’Osservatorio astronomico Sudafricano, hanno ufficialmente demolito questo limite osservando per la prima volta una nebulosa planetaria originatasi da una stella con 5.5 volte la massa del nostro Sole. La loro scoperta è stata pubblicata su Nature Astronomy.
Ma perché è così importante questa scoperta?
In primo luogo, le nebulose planetarie forniscono una finestra unica nella fase avanzata dell’evoluzione stellare, rivelata dai loro ricchi spettri di emissione che sono eccellenti laboratori per la fisica del plasma. Le nebulose planetarie sono visibili a grandi distanze dove i loro inviluppi ben delineati permettono di determinare le dimensioni, la velocità di espansione e l’età della nebulosa planetaria, così da sondare la fisica e la tempistica con cui la stella perde massa. Possono inoltre essere usate per ricavare la luminosità, la temperatura e la massa dei loro nuclei stellari residui centrali e la composizione chimica del gas espulso.
In secondo luogo, questo è un esempio unico di una stella la cui massa della “progenitrice” si avvicina al limite teorico inferiore della formazione di supernove dal nucleo-collassato. Questi risultati costituiscono le prime prove solide che confermano le previsioni teoriche secondo cui le stelle con una massa superiore alle 5 masse solari possono effettivamente formare nebulose planetarie. Questo caso, senza precedenti, fornisce quindi alla comunità astronomica uno strumento importante per sviluppare nuove intuizioni sull’evoluzione chimica stellare e galattica.
La nebulosa planetaria in oggetto è stata scoperta in un giovane ammasso aperto galattico chiamato Ngc 6067, che di per sé costituisce un evento estremamente raro. In effetti, solo un’altra nebulosa planetaria, la Phr 1615-6555, era stata dimostrata risiedere in un ammasso aperto ma la sua stella progenitrice aveva una massa considerevolmente più bassa. L’aver trovato una nebulosa planetaria in un ammasso fornisce dati importanti che sarebbe difficile acquisire altrimenti: una stima accurata della distanza e una stima della massa “disattivata” (vale a dire la massa che una stella dovrebbe avere quando è nata per essere vista evolvere dalla sequenza principale nell’ammasso di età nota). L’elevata confidenza nell’associazione tra ammasso e nebulosa planetaria deriva dalla conoscenza delle loro velocità radiali altamente coerenti (inferiore di 1 km/s) lungo una linea di vista con un gradiente velocità-distanza molto ripido, dalle comuni distanze rilevate, dal comune arrossamento e da una prossimità fisica proiettata dove è evidente che la nebulosa planetaria è posta vicina al centro dell’ammasso.
In sintesi, questi risultati rappresentano solide prove che confermano le previsioni teoriche secondo cui stelle di massa superiore alle 5 masse solari possono formare nebulose planetarie e, come previsto, sono ricche di azoto. L’appartenenza della nebulosa planetaria all’ammasso fornisce nuovi e stretti vincoli sul limite di massa inferiore per la massa della stella progenitrice delle supernove a nucleo-collassato e anche per la massa finale della nana bianca (Initial to Final Mass Relation). Questa evidenza fornisce inoltre un punto di riferimento empirico per la valutazione delle previsioni nucleo-sintetiche (creazione di elementi) per le stelle di massa intermedia. La nebulosa planetaria Bmp J1613-5406 e il suo ammasso Ngc 6067 forniranno alla comunità astronomica importanti informazioni sull’evoluzione chimica, stellare e galattica.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A high-mass planetary nebula in a Galactic open cluster” di Fragkou, Q. A. Parker, A. A. Zijlstra, L. Crause e H. Barker