CON I DATI DELLE SONDE STEREO DELLA NASA

Space weather, è l’ora della citizen science

I risultati di un progetto della piattaforma Zooniverse, “Protect our Planet from Solar Storms”, potrebbero aiutare gli esperti di meteorologia spaziale a prevedere eventi potenzialmente devastanti

     02/07/2019

Il grafico mostra come l’andamento della “complessità” della Cme (in alto) segua quello dell’attività solare (in basso). Nel riquadro superiore si vede l’andamento nel tempo della complessità relativa delle Cme. I punti rossi rappresentano le immagini della sonda Stereo-A, quelli blu sono invece relativi a Stereo-B. Le linee tratteggiate mostrano le medie annuali. Crediti: University of Reading, World Data Center SILSO, Royal Observatory of Belgium, Brussel

Grazie a un progetto di citizen science – “Protect our Planet from Solar Storms”, avviato dalla University of Reading, dallo Science Museum Group e da Zooniverse nel maggio del 2018 – un nutrito gruppo di volontari ha scoperto una relazione tra i cicli di attività solare e la complessità delle espulsioni coronali di massa. Il team di ricerca avvierà ora il seguito del progetto, che conta già oltre 2600 partecipanti, per individuare quale relazione esiste tra la luminosità delle espulsioni coronali e la loro complessità strutturale.

Qualche tempo fa avevamo parlato della famiglia di scienziati amatoriali di Zooniverse, che conta ormai ben oltre il milione di volontari ed è in continuo aumento. Appassionati di astronomia, fisica, biologia, medicina, letteratura, storia, scienze sociali, che dedicano il proprio tempo alla collaborazione con enti di ricerca, osservando immagini dell’oggetto di studio e aiutando attivamente nella loro interpretazione e classificazione.

Protect our Planet from Solar Storms è uno dei progetti Zooniverse, per il quale migliaia di volontari hanno classificando in ordine di complessità 1100 osservazioni di espulsioni coronali di massa del Sole (Cme, dall’inglese coronal mass ejection), ottenute dalle fotocamere a bordo delle sonde gemelle Solar Terrestrial Relations Observatory (Stereo) della Nasa. Queste espulsioni liberano nubi di particelle cariche dalla corona solare che viaggiano nello spazio a velocità altissime (fino a milioni di chilometri orari). L’interesse in queste tempeste sta nella loro interazione col campo magnetico terrestre, durante la quale potrebbero liberare tanta energia da mettere in difficoltà i sistemi di griglie elettriche, di navigazione satellitare e di telecomunicazioni, fino a renderli inservibili – nei casi più gravi – per giorni o persino settimane.

I risultati di Protect our Planet from Solar Storms – presentati oggi, martedì 2 luglio, in occasione del congresso National Astronomy Meeting della Royal Astronomical Society a Lancaster – sono uno strumento in più per il monitoraggio delle tempeste solari in arrivo.

«La sonda Stereo cattura le immagini delle tempeste solari mentre esplodono dalla nostra stella. Alcune Cme sembrano molto semplici, come delle bolle, mentre altre sono molto più complesse, sembrano lampadine frantumate. Sorprendentemente, abbiamo scoperto che i valori della complessità media annuale seguono effettivamente il ciclo di attività solare», osserva Shannon Jones della University of Reading.

In base all’orientamento dei campi magnetici all’interno delle tempeste solari, si riesce a stimare l’entità degli effetti della Cme sulle nostre tecnologie, ma queste misure possono effettuarsi solo entro circa un’ora dall’arrivo verso la Terra del materiale espulso. Troppo tardi, dunque, per correre ai ripari.

«Le tempeste più dannose hanno un campo magnetico che è sfasato di 180 gradi rispetto a quello della Terra. Poiché le tempeste complesse hanno un campo magnetico che continua a cambiare direzione, è più probabile che assumano questo allineamento almeno per un breve periodo di tempo. Il legame tra la complessità e il ciclo solare è importante perché non solo ci sono più tempeste durante il massimo solare, ma la loro variabilità le rende anche più suscettibili ad avere un orientamento del campo magnetico che può influenzare le nostre moderne tecnologie», spiega Chris Scott, anch’egli della University of Reading, che ha ideato lo studio.

Mettere in relazione, come si sta tentando di fare, l’intensità delle espulsioni coronali di massa con altri parametri misurabili, come l’attività solare o la luminosità delle esplosioni stesse, permetterebbe di avere un po’ di tempo in più per avvisare i gestori di sistemi elettrici e di telecomunicazione in caso di eventi di grande portata.

Nella seconda fase del progetto, ci si concentrerà anche nello studio delle differenze tra le immagini prodotte dalle due diverse fotocamere, Stereo A e Stereo B. «I nostri risultati mostrano che le tempeste nella fotocamera Stereo B sono state costantemente classificate come meno complesse rispetto a Stereo A, e ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le due fotocamere non sono identiche», precisa Jones. «L’input dei volontari sarà inestimabile per aiutarci a capire meglio la struttura delle Cme».

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