Come si nutrono le galassie? Sulla dieta in sé ci sono pochi dubbi: gas, gas e ancora gas. Tutto destinato a fornire la materia necessaria alla nascita di nuove stelle. Ma sul modo in cui questo gas viene assimilato ancora ci si interroga. Lo assorbono da tutt’attorno, come farebbe una spugna immersa nell’acqua? O lo aspirano, come invece farebbe una persona con una cannuccia, dunque lungo percorsi preferenziali? E ancora: lo preferiscono caldo o lo preferiscono freddo? Non sono domande oziose: è attorno a scenari come questi che gli astrofisici si confrontano per comprendere esattamente i processi in gioco nella formazione stellare.
Un nuovo studio condotto su osservazioni realizzate dalle Hawaii, all’Osservatorio del Keck, con uno spettrografo a campo integrale di ultimissima generazione – il Keck Cosmic Web Imager – fornisce la prova a oggi più immediata e chiara dell’esistenza, almeno per le galassie più giovani, di percorsi preferenziali: filamenti cosmici di forma spiraleggiante lungo i quali il gas freddo scorre verso le galassie, fornendo così il carburante per produrre nuove stelle.
«Per la prima volta osserviamo filamenti di gas dirigersi lungo una spirale direttamente in una galassia, come se scorresse all’interno di un gasdotto», spiega il primo autore dello studio pubblicato lunedì scorso su Nature Astronomy, Christopher Martin, del Caltech. «Un gasdotto che fornisce la materia necessaria alla formazione stellare, consentendo alle galassie di produrre le stelle in tempi molto brevi».
La campagna osservativa si è svolta nel 2017, e gli oggetti puntati dal Cosmic Web Imager del Keck sono stati due quasar, Um 287 e Cso38. Ma non erano i quasar l’obiettivo degli astronomi, bensì la nebulosa gigante che li circonda, più grande della Via Lattea e resa visibile proprio grazie alla forte illuminazione fornita dagli stessi quasar. Analizzando la luce emessa dall’idrogeno presente nelle due nebulose (una per ogni quasar), in particolare la riga di emissione Lyman-alfa, Martin e colleghi sono stati in grado di estrapolare una mappa della velocità del gas. Il risultato fornisce, appunto, le migliori prove oggi disponibili a sostegno del modello di formazione delle galassie “a flusso freddo” (cold flow model): un modello nel quale il gas freddo fluisce direttamente verso le galassie in formazione, dove viene poi convertito in stelle. I modelli precedenti suggerivano, al contrario, che le galassie assorbissero il gas e successivamente lo riscaldassero fino a raggiungere a temperature estremamente elevate, per poi lasciarlo raffreddare gradualmente, così da costituire una riserva di carburante stabile, ma disponibile con lentezza, per la formazione stellare. Uno scenario, questo con il gas caldo, entrato in crisi sin dal 1996, quando uno dei coautori del nuovo studio – Charles Steidel del Caltech – dimostrò che le galassie lontane producono stelle a un ritmo troppo elevato per essere compatibile con il lento processo di assestamento e raffreddamento del gas previsto dai modelli dell’epoca.
«Nel corso degli anni», dice Martin, «abbiamo acquisito sempre più prove a favore del modello “a flusso freddo”. La nuova versione alla quale siamo giunti l’abbiamo chiamata cold-flow inspiral model, perché oltre a essere freddo il gas segue un percorso a spirale».
Fra i coautori dell’articolo c’è anche Sebastiano Cantalupo, un astrofisico italiano – si è laureato a Padova – oggi professore all’Eth di Zurigo, dove studia, appunto, quella struttura filamentosa che gli scienziati chiamano “cosmic web” – rete cosmica. Una “ragnatela di materia” che agli occhi di noi profani può ricordare una rete neurale. Un’analogia solo suggestiva o c’è qualche fondamento?
«Ovviamente anche noi astrofisici», dice a Media Inaf Cantalupo, «siamo affascinati dalle somiglianze tra quello che ci aspettiamo sia la struttura dell’universo su larga scala e altre strutture su scale infinitesime – rispetto all’universo – come le nostre reti neurali. Che le galassie nell’universo siano tutte collegate tra di loro da “ponti” o “filamenti” di materia è un’idea relativamente recente. Deriva da pochi semplici principi e dagli ingredienti fondamentali dell’universo: espansione, gravità, quantità e “tipo” di materia (oscura). La materia in questi filamenti è così diffusa che non pensiamo riesca a formare stelle, se non nelle zone più dense – tipicamente dove questi filamenti si incontrano – che noi chiamiamo “galassie”. Negli ultimi anni, grazie a nuovi strumenti e a tecniche particolari, stiamo riuscendo a vedere alcune parti di questi filamenti, ma una visione di insieme della “rete cosmica” ci manca ancora. Ma forse non per molto».
«Così come le galassie sono “collegate” da questi ponti di materia, anche i nostri neuroni sono collegati tra di loro. Ma le similitudini si fermano lì», mette in guardia Cantalupo. «Non c’è infatti “informazione” che si propaga nei filamenti cosmici come nel caso delle reti neurali: solo materia che lentamente fluisce nei filamenti e nutre le galassie con nuovo gas per formare stelle, pianeti e… esseri umani. Quello che unisce tutto l’universo e collega noi punti infinitesimali con le strutture più grandi e distanti è la “luce”: informazione elettromagnetica che si propaga “liberamente” in tutte le direzioni e non segue necessariamente “reti” come gli impulsi nervosi nel nostro cervello. Inoltre lo sviluppo dei neuroni e quello galassie seguono fasi diverse: le galassie si formano dai filamenti, mentre, se non sbaglio, i neuroni si formano prima delle connessioni neurali – che infatti si formano e riformano in continuazione. Insomma, ci sono alcune similitudini ma anche numerose e notevoli differenze».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Multi-filament gas inflows fuelling young star-forming galaxies“, di D. Christopher Martin, Donal O’Sullivan, Mateusz Matuszewski, Erika Hamden, Avishai Dekel, Sharon Lapiner, Patrick Morrissey, James D. Neill, Sebastiano Cantalupo, Jason Xavier Prochaska, Charles Steidel, Ryan Trainor, Anna Moore, Daniel Ceverino, Joel Primack Luca Rizzi