Il tweet è fresco fresco. È dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa, che annuncia con un cinguettio l’impresa che fra due giorni – giovedì 11 luglio – attende Hayabusa-2: la seconda discesa programmata nell’ambito della missione sull’asteroide Ryugu. Dopo il successo del primo touchdown del 22 febbraio 2019, confermato dalle immagini ricevute il 6 marzo scorso, e dopo la successiva produzione del cratere artificiale grazie al proiettile sparato dallo Small Carry-on Impactor (Sci) – avvenuta circa tre mesi fa, il 5 aprile – il falco pellegrino è pronto per ripetere l’impresa: buttarsi giù in “picchiata” per un secondo touchdown. L’obiettivo è acciuffare altri frammenti della sua preda, con la stessa strategia adottate nel primo touchdown: discesa, avvicinamento fino quasi a sfiorare il suolo e raccolta del materiale con la sua proboscide meccanica, dopo che un minuscolo proiettile di tantalio – impattando sulla superficie dell’asteroide – avrà sollevato una nube di polvere verso il canale che porta alle camere di raccolta della sonda.
Una discesa “spericolata”, che se avverrà con successo porterà in casa Jaxa due importanti primati: la prima raccolta di campioni da più punti di un asteroide, e il primo campione ottenuto dal sottosuolo di Ryugu.
Al tempo stesso, una discesa che suscita nei responsabili della missione non poche perplessità. La sonda sta infatti operando nello spazio lontano, in un ambiente difficile e con un tempo di comunicazione troppo lungo per consentire di correggere gli eventuali problemi che dovessero verificarsi. Non solo: se si considera la riduzione della luce ricevuta dai sistemi ottici di bordo dovuta alla polvere accumulatasi durante il primo touchdown, le cose si complicano ulteriormente.
Ciò nonostante, le ragioni scientifiche di questo secondo touchdown hanno vinto sull’alto rischio dell’impresa, e l’11 luglio prossimo Hayabusa2 dovrebbe “accendere i motori” e cominciare i preparativi per l’avvicinamento.
Il sito di atterraggio pianificato (vedi immagine in alto) è a circa 20 metri di distanza a nord dal cratere artificiale generato dal liner, il proiettile sparato dallo Small Carry-on Impactor. Si tratta di un’area dal raggio di circa tre metri e mezzo – nome in codice C01-Cb. La scelta è avvenuta dopo aver sganciato con successo, lo scorso 30 maggio, uno dei marcatori di posizione. Il marcatore – una sorta di pallina riflettente – ha permesso l’esame dettagliato della regione e la creazione di mappe topografiche dei potenziali punti di atterraggio vicini a quelli in cui il bersaglio artificiale si trova ora. E sebbene intorno all’area siano presenti massi pericolosi e cumuli di roccia, il team ritiene che l’atterraggio nel sito C01-Cb non dovrebbe essere particolarmente problematico.
«Il secondo touchdown è stato deciso qualche settimana fa», dice a Media Inaf Ernesto Palomba, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma e membro del team di Hayabusa-2. «È un’operazione critica, molto critica. Decidere di farlo comporta non pochi rischi per la missione. Tutto il core team, valutati i pro e i contro, ha comunque deciso di procedere, considerando anche il ritorno scientifico che questo potrebbe avere: se tutto andrà come previsto, per la prima volta l’uomo andrà a campionare due posizioni differenti di un asteroide. Hayabusa-2 potrebbe dunque diventare la prima missione a prelevare del materiale da due zone diverse di uno stesso asteroide, cosa che non ha fatto, per esempio, Hayabusa-1».
«Ma non è finita. Raccogliendo il materiale dei cosiddetti ejecta, ovvero il materiale che si è sollevato dopo l’impatto del proiettile che ha creato il cratere artificiale e che si è depositato lì vicino», continua il ricercatore, «Hayabusa-2 andrebbe a raccogliere materiale prezioso: provenendo dal sottosuolo, protetto dunque da centimetri di regolite, è stato schermato dall’azione del vento solare e dei raggi cosmici. Sarebbe, insomma, materiale “fresco”, che non ha subito cambiamenti negli ultimi milioni di anni. Raffrontarne la composizione con quella del campione ottenuto durante il primo touchdown permetterebbe di capire quali sono i meccanismi che agiscono nello spazio interplanetario in termini di processamento delle molecole, come quelle organiche conservatesi meglio nel sottosuolo. Ma questo lo sapremo solo se tutto andrà per il verso giusto».
Quanto all’ipotesi di un terzo touchdown, «nulla è cambiato, non ce ne sarà un terzo», spiega Palomba. «Se questo andasse a buon fine, non aggiungerebbe nulla di nuovo. Dopo, si aspetterà solo il ritorno a terra, il cui viaggio d’inizio è previsto per dicembre 2019, con arrivo a destinazione nel 2020. Intanto incrociamo le dita e speriamo bene».
Per seguire la conferenza stampa del secondo touchdown:
Correzione del 10.07.2019: nel dicembre del 2019 il viaggio di ritorno verso Terra avrà inizio, e non termine, come invece scritto in una precedente versione.