Le basse temperature e gli alti livelli di radiazione ultravioletta sulla superficie di Marte attualmente ne precludono la vita, quantomeno quella di specie come la nostra. Negli anni, le idee avanzate per rendere più abitabile la superficie marziana sono state diverse, e tutte implicano una massiccia modifica ambientale. L’idea di modificare il clima marziano per renderlo vivibile per l’uomo, a dire il vero, non è recente. Già in un articolo datato 1971, Carl Sagan suggerì la terraformazione del pianeta rosso. E da allora diversi ricercatori e futuristi hanno iniziato a pensare come rendere un giorno possibile ciò.
Una delle soluzioni proposte fu quella di vaporizzare il diossido di carbonio, l’anidride carbonica (CO2) per intenderci, e il ghiaccio d’acqua – abbondante nelle calotte polari – per addensare l’atmosfera affinché fungesse da coperta per innalzare la temperatura, riscaldare il pianeta e permettere all’acqua liquida, essenziale per la vita, di esistere. Tuttavia, l’idea, al di là del come realizzarla, non sembrerebbe risolutiva. A dirlo sono i risultati di uno studio finanziato dalla Nasa, secondo il quale anche processando tutte le fonti disponibili su Marte, ovvero anche vaporizzando tutta la CO2 congelata e il ghiaccio d’acqua presente nel pianeta, la pressione atmosferica non raggiungerebbe più del 7 per cento di quella terrestre; molto al di sotto di quella necessaria per rendere l’acqua liquida e il pianeta abitabile.
Come fare allora? Terraformare Marte è possibile o resta solo un sogno fantascientifico?
Una nuova idea è venuta a un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard, del Jet Propulsion Lab della Nasa e dell’Università di Edimburgo. Un’idea che non prevede di stravolgere le condizioni dell’intero pianeta ma piuttosto di cambiarle regionalmente, in maniera localizzata. Come? Attraverso l’utilizzo di uno dei materiali più isolanti mai creati, l’aerogel di silice: un materiale con una porosità del 97 per cento, già utilizzato nel campo delle costruzioni e persino come componente di parti di veicoli spaziali per fornire isolamento termico notturno, per esempio nel Mars Exploration Rover della Nasa. Questo, secondo gli autori dello studio, rallentando notevolmente la conduzione del calore, potrebbe mimare l’effetto serra naturale terrestre e rendere dunque la superficie marziana abitabile.
L’ispirazione è nata da un fenomeno che già si verifica su Marte. A differenza delle calotte polari terrestri, che sono fatte di acqua ghiacciata, le calotte polari marziane sono una combinazione di ghiaccio d’acqua e CO2 congelata. Come la sua forma gassosa, la CO2 congelata consente alla luce solare di penetrare mentre intrappola il calore. Un effetto serra in piena regola, che però, in virtù dello stato solido della anidride carbonica, viene chiamato “effetto serra a stato solido“. Effetto che, nelle estati marziane, crea aree di riscaldamento sotto i ghiacci.
Con l’obiettivo di dimostrare il potenziale di riscaldamento di questi aerogel sotto livelli di insolazione simili a quelli di Marte, attraverso modelli e simulazioni al computer, i ricercatori in particolare hanno determinato che uno strato di 2 o 3 cm di spessore di questa nanoschiuma – come è anche chiamata – sarebbe sufficiente a far passare abbastanza luce visibile per la fotosintesi, bloccare la radiazione UV più energetica, e innalzare la temperatura nella parte inferiore dello strato quel tanto che basta per portarla al di sopra del punto di fusione dell’acqua. Un effetto che, dicono i ricercatori, sarebbe ottimale all’interno della banda di latitudine in cui il flusso solare è elevato durante tutto l’anno (45 gradi Sud – 45 gradi Nord). Una fascia all’interno della quale ci sono molti luoghi di media latitudine dove le osservazioni indicano la presenza di ghiaccio poco sotto la superficie.
«Questo approccio regionale per rendere abitabile Marte è molto più realizzabile rispetto alla modificazione atmosferica globale. A differenza delle precedenti idee per rendere abitabile Marte, questa può essere sviluppata e testata sistematicamente con materiali e tecnologia che già possediamo», ha spiegato Robin Wordsworth, ricercatore di scienze ambientali e ingegneristiche e primo autore dell’articolo.
Materiali come l’aerogel, appunto. «Un materiale promettente» ha detto la coautrice Laura Kerber, «perché il suo effetto è passivo. Non richiederebbe grandi quantità di energia o manutenzione di parti mobili per mantenere una zona calda per lunghi periodi di tempo».
«Sparsi su un’area abbastanza grande» puntualizza il primo autore, «non ci sarebbe bisogno di altre tecnologie, un solo strato di questo materiale sulla superficie sarebbe sufficiente per avere acqua liquida permanente». Per esempio, collocando gli strati di aerogel di silice sopra regioni sufficientemente ricche di ghiaccio della superficie marziana o, ad esempio mediante la costruzione di cupole abitative o biosfere composte da questo materiale. Risultati, concludono i ricercatori, che oltre ad essere utili per la futura attività umana su Marte e dal punto di vista astrobiologico, sono importanti anche quale potenziale mezzo per facilitare gli sforzi di individuazione della vita come quella in ambienti ostili sulla Terra, come l’Antartide e il Deserto di Atacama in Cile.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Enabling Martian habitability with silica aerogel via the solid-state greenhouse effect” di Robin Wordsworth, Laura Kerber e Charles Cockell