La notte del 20 luglio di cinquant’anni fa è una di quelle che non si dimenticano. Tutti noi che eravamo lì davanti alla tv ne abbiamo conservato un ricordo particolare. Io ero adolescente, e la cosa costituì per me un imprinting che ha condizionato le mie scelte professionali e di vita. Ma più ancora di quella singola notte – di quel singolo passo – ciò che lascia attoniti, a ripensarci, è l’incredibile decennio che la precedette. Che la preparò. E che con l’impresa dell’Apollo 11 raggiunse un traguardo inseguito caparbiamente – sognando e calcolando, pianificando e rischiando. Giorno dopo giorno. Giorni nei quali tutto sembrava possibile. In questi giorni celebriamo questa importante ricorrenza, ma di fatto stiamo celebrando l’avvio di un nuovo programma di esplorazione umana del Sistema solare, in cui la Luna costituirà una base intermedia per spingere l’uomo oltre e portarlo su Marte.
E questi stessi giorni segnano un altro importante anniversario che tocca da vicino me e l’intera comunità scientifica: i primi 20 anni dalla fondazione dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica, un ente nazionale di prestigio che oggi possiede al suo interno tutte le risorse, intellettuali e strumentali, per lo studio dell’universo, a tutte le lunghezze d’onda, da terra e dallo spazio. Ed è proprio questa seconda ricorrenza a offrirmi l’occasione per un confronto fra il decennio del programma Apollo e il periodo che stiamo vivendo. Un periodo nel quale stanno accadendo molte cose, nel nostro campo. E a un ritmo molto rapido. In questi vent’anni abbiamo assistito – e spesso, come Inaf, siamo stati protagonisti – di progressi tecnologici e scoperte scientifiche fino a pochi decenni fa inimmaginabili. Siamo stati in grado di scattare una fotografia a un buco nero. Abbiamo scoperto un lago sotterraneo di acqua salmastra su Marte. Abbiamo previsto un elevato tasso di fusione di stelle di neutroni nella nostra Galassia. Abbiamo scoperto migliaia di esopianeti, di cui centinaia mostrano condizioni fisiche in grado di ospitare la vita. Infine, in accordo proprio con le nostre previsioni, con i nostri telescopi, da terra e dallo spazio, abbiamo visto due stelle di neutroni fondersi mentre, con gli interferometri per onde gravitazionali, le sentivamo fondersi e sconquassare lo spazio-tempo – esattamente come previsto da Einstein.
Sono giorni, questi, nei quali stiamo letteralmente gettando le basi per una svolta epocale della conoscenza, con la quale si afferma il ruolo strategico dell’astrofisica moderna per il futuro dell’umanità. Con la costruzione di Elt, l’Extremely Large Telescope, che con il suo specchio da 39 metri di diametro diventerà il più grande telescopio ottico e infrarosso mai realizzato. Con la costruzione di Ska, lo Square Kilometre Array, un radiotelescopio formato da centinaia di migliaia di antenne distribuite su due continenti – Sud Africa e Australia. O, ancora, con la costruzione di Cta, il Cherenkov Telescope Array, anch’esso su due continenti – Isole Canarie e Cile – e capace di usare l’atmosfera come rivelatore per intercettare le radiazioni più energetiche dell’universo.
Tre progetti che coinvolgono migliaia di ricercatrici e ricercatori in tutto il mondo, Inaf in testa, facendo da traino per la messa a punto di innovazioni tecnologiche in numerosi settori – dalla scienza dei materiali all’elettronica e all’intelligenza artificiale. Tre progetti fra tanti nei quali siamo direttamente coinvolti, quando non alla loro guida: entro la fine dell’anno lanceremo nello spazio Cheops, un occhio made in Italy sugli esopianeti, e già stanno prendendo forma diverse altre prestigiose e ambiziose missioni spaziali, in molte delle quali l’Inaf è capofila.
Un giorno sarà uno di questi immensi occhi puntati sul cosmo a fornirci la prova che non siamo soli, che la vita, altrove esiste. E un giorno ripenseremo a questi anni entusiasmanti come a un’epoca nella quale tutto sembrava possibile, e infatti tutto poi si è realizzato.
Possibile, ma difficile. Le sfide tecnologiche e intellettuali che dobbiamo affrontare sono estreme. Ma non siamo soli, anzi: l’Inaf è secondo al mondo – non lo diciamo noi, lo dice la rivista Nature – fra tutte le istituzioni di ricerca per capacità di instaurare collaborazioni internazionali. E soprattutto abbiamo dalla nostra parte le migliori menti che si possano sognare, una generazione di ricercatrici e ricercatori che un passo dopo l’altro ci fanno approdare nel futuro – passi a volte incerti, ma passi che inevitabilmente si rivelano determinanti per il progresso dell’umanità, perché è così che procede la scienza, come un astronauta su un mondo mai calpestato prima ci ha portato nel futuro.