Come scriveva qualche tempo fa Patrizia Caraveo qui su Media Inaf, «uno dei risultati più spettacolari dell’astrofisica del secolo scorso è stata la scoperta dell’espansione dell’Universo. La conosciamo come legge di Hubble ma è la somma del lavoro di molti, primo fra tutti l’abate Lemaître». Nella legge è presente un valore fisso che quantifica il tasso di espansione, la cosiddetta costante di Hubble (o meglio di Hubble –Lemaître), d’importanza fondamentale per determinare l’età dell’universo e il suo destino, ma che non ha ancora un riscontro osservativo unico.
In particolare, il valore della costante di Hubble oscilla attualmente tra i 74 chilometri al secondo per megaparsec, recentemente misurato in maniera molto precisa grazie alle stelle variabili Cefeidi, e i 67.4 km/s/Mpc, ottenuto dal telescopio spaziale dell’Esa Planck misurando le anisotropie del fondo cosmico a microonde. Per risolvere questa “tensione” tra i due valori, sono state effettuate misure con metodi alternativi, per esempio i quasar doppi (72.5).
Ora, Wendy Freedman della University of Chicago, la stessa ricercatrice che all’inizio degli anni 2000 aveva utilizzato il telescopio spaziale Hubble per arrivare alla prima misura della costante di Hubble con un errore inferiore al 10 per cento con il metodo delle variabili Cefeidi, ha condotto – sempre con l’imprescindibile telescopio spaziale – una misura delle stelle giganti rosse presenti nell’alone di un campione selezionato di galassie. La distanza di queste galassie è stata misurata attraverso la luminosità apparente delle stelle giganti rosse, che hanno funzionato da “candele standard” in quanto raggiungono tutte il medesimo picco di luminosità nella loro ultima fase di evoluzione.
In un articolo in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal, Freedman e colleghi annunciano che le loro nuove osservazioni indicano che il tasso di espansione dell’universo “vicino” è poco meno di 70 chilometri al secondo per megaparsec. Un valore che apparentemente si avvicina a quello misurato da Planck, ma che in realtà – vista la notevole precisione con cui è stato ottenuto – rimarca la distanza fra i risultati.
«La costante di Hubble è il parametro cosmologico che determina la scala assoluta dell’universo, la sua dimensione e la sua età; è uno dei modi più diretti di cui disponiamo per quantificare come l’universo si evolve», commenta Freedman. «La discrepanza che esisteva tra le misure non è stata abolita, ma questa nuova evidenza suggerisce che non sarebbe un pensiero campato per aria quello di supporre che ci sia qualcosa di fondamentalmente errato nel nostro attuale modello dell’universo».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal “The Carnegie-Chicago Hubble Program. An Independent Determination of the Hubble Constant Based on the Tip of the Red Giant Branch”, di Freedman, Wendy L.; Madore, Barry F.; Hatt, Dylan; Hoyt, Taylor J.; Jang, In-Sung; Beaton, Rachael L.; Burns, Christopher R.; Lee, Myung Gyoon; Monson, Andrew J.; Neeley, Jillian R.; Phillips, Mark M.; Rich, Jeffrey A. e Seibert, Mark